Avrebbero corrotto un incaricato di pubblico servizio per favorire un percorso inframurario di favore ad un detenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. E’ l’accusa a carico dello stesso detenuto, Mario Borrata, e della sorella, Sara Borrata, nei confronti dei quali, stamani, il Nucleo investigativo centrale della Polizia Penitenziaria ha eseguito una misura cautelare: il carcere per il primo e gli arresti domiciliari per la donna.
La vicenda è quella che ha coinvolto nei mesi scorsi l’ex garante dei detenuti della provincia di Caserta Emanuela Belcuore, accusata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere di aver fatto favori proprio a Borrata, detenuto nel carcere sammaritano per omicidio e ritenuto contiguo al clan dei Casalesi, in cambio di soldi e scarpe di lusso, che le sarebbero stati fornite da Sara Borrata, che a Casal di Principe gestisce un negozio di abbigliamento. Per questi fatti, Belcuore ha già patteggiato un anno e dieci mesi (con pena sospesa) per i reati di corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio.
Le indagini, coordinate dalla Procura sammaritana guidata da Pierpaolo Bruni, avrebbero confermato le accuse a Belcuore, in particolare che quest’ultima, tra il 2022 e la prima parte del 2023, mentre era garante (si dimise nel luglio 2023 dopo aver subito una perquisizione), avrebbe intrattenuto conversazioni telefoniche con Mario Borrata, che usava un cellulare illecitamente introdotto in carcere, avvisandolo delle perquisizioni in modo da consentirgli di nascondere il telefono. Non solo: la garante si sarebbe adoperata per far avere al detenuto una relazione di servizio positiva, avvicinando – ma senza esito positivo – la direttrice del carcere e il magistrato di sorveglianza; avrebbe dunque cercato di favorire Borrata nel suo percorso carcerario.
Mario Borrata è in carcere da 13 anni per l’omicidio del giovane Pietro Capone, avvenuto il 14 ottobre 2010 ad Aversa, in piazza Marconi. Borrata, allora 19enne, colpì la vittima con alcuni fatali fendenti alla gola. Nell’ottobre del 2011, il gup del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Stefania Amodeo, lo condannò all’ergastolo, nonostante il rito abbreviato che dà diritto ad uno sconto di un terzo in caso di condanna. Accogliendo le richieste del pm, Giorgia de Ponte, e sostenute dalle parti civili costituite (la moglie di Pietro Capone rappresentata e difesa dall’avvocato Felice Belluomo, ed i genitori della vittima, rappresentati e difesi dall’avvocato Massimo d’Errico), il gup riconobbe Borrata colpevole non solo del reato di omicidio premeditato aggravato dai motivi abietti (l’omicidio sarebbe avvenuto per motivi di gelosia per le avance di Borrata alla moglie della vittima, da lei sempre rifiutate) ma anche del reato di violenza sessuale per un palpeggiamento ai danni della moglie di Capone che sarebbe avvenuto il giorno prima del delitto, così come ricostruito dalla persona offesa.