Due “caporali” avevano promesso a numerosi lavoratori indiani un futuro migliore in Italia, richiedendo a ciascuno di loro la somma di 17mila euro in cambio dell’ingresso nel territorio nazionale e di un permesso di lavoro stagionale. Per far fronte al pagamento, i poveri malcapitati sono stati costretti, in alcuni casi, a impegnare i loro beni di famiglia e, in altri, a indebitarsi direttamente con gli stessi “caporali”, loro connazionali. Non solo. Una volta arrivati in Italia, i lavoratori erano costretti a prestare la loro manodopera come braccianti nei campi del Veronese, di fatto senza alcuna paga, tra le 10 e le 12 ore giornaliere, 7 giorni su 7, poiché il compenso di soli 4 euro l’ora stabilito dai responsabili veniva interamente trattenuto dagli stessi fino alla totale estinzione del debito.
In alcuni casi, al saldo della somma dovuta, i “caporali” richiedevano ai “dipendenti” ulteriori 13mila euro da pagare con le stesse modalità, promettendo loro il rilascio di un permesso di lavoro definitivo che, nella realtà, non sarebbe mai stato concesso. A garanzia del loro totale silenzio e della sottomissione, i due indiani sottraevano i passaporti ai braccianti non appena arrivati in Italia e imponevano loro l’assoluto divieto di uscire dalle fatiscenti “case” in cui erano costretti a vivere con la minaccia, più volte attuata, di ritorsioni fisiche in caso di rifiuto.
Una vicenda finita al centro di un’indagine della Guardia di Finanza di Legnago (Verona) che, su disposizione della Procura scaligera, ha effettuato una serie di perquisizioni a carico dei due indiani, residenti a Cologna Veneta, entrambi accusati di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù) e intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
I numerosi appostamenti eseguiti dai finanzieri nelle settimane precedenti all’intervento hanno consentito di rilevare che i lavoratori, già alle prime luci dell’alba, venivano fatti salire, ammassati e nascosti tra le cassette di ortaggi, a bordo di mezzi telonati, per poi essere trasportati nelle campagne e nelle serre dislocate nell’agro della bassa veronese. Le perquisizioni sono state eseguite in tre alloggi ubicati a Cologna Veneta, di proprietà dei “caporali”, utilizzati quali luoghi di dimora dei braccianti, che erano costretti a vivere in condizioni precarie e degradanti, in totale violazione delle norme igienico-sanitarie.
I 33 cittadini indiani individuati erano tutti sprovvisti di documento di identità e, dopo essere stati identificati, hanno denunciato la loro situazione di sfruttamento, maltrattamento e segregazione. Al fine di tutelare le vittime da possibili ritorsioni, già subite in passato, grazie alla collaborazione con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, sono stati coinvolti i Servizi sociali della Regione Veneto che, nell’ambito del progetto “Navigare – Network Antitratta Veneto”, hanno garantito loro la pronta assistenza, procedendo a ricollocarli in ambienti protetti e ad avviarli verso futuri percorsi lavorativi e di inclusione sociale.
In accordo con l’autorità giudiziaria scaligera, sono state avviate le procedure previste dal Testo unico sull’immigrazione finalizzate al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia. Intanto, passaporti sequestrati dai “caporali” al momento dell’ingresso in Italia sono stati restituiti ai legittimi titolari. Eseguito, inoltre, un decreto di sequestro preventivo di circa 475mila euro relativo alle disponibilità finanziarie dei due indagati, risultati titolari di ditte individuali operanti nel settore dell’agricoltura senza dipendenti formalmente assunti e risultati evasori totali. IN ALTO IL VIDEO