30 anni, il massimo previsto per il rito abbreviato. È la condanna emessa dal gip del tribunale di Napoli nei confronti di Carlo Nappi e Salvatore Cammarota, elementi di spicco del clan Polverino di Marano, ritenuti i mandanti dell’omicidio di Giulio Giaccio.
Il 30 luglio del 2000 l’operaio 26enne del quartiere Pianura di Napoli, incensurato, finì nel mirino della camorra perché scambiato per un uomo che doveva essere punito per una relazione sentimentale con la sorella di Cammarota. A nulla valse il tentativo di Giulio di spiegare che con quella storia lui non aveva nulla a che fare. Fu prelevato da un commando di finti poliziotti, torturato e ucciso e poi il suo corpo fu sciolto nell’acido nelle campagne per occultare le prove.
Uno dei componenti del gruppo di fuoco, Roberto Perrone, diventato nel frattempo collaboratore di giustizia, è stato condannato a 10 anni di reclusione. A lui sono state riconosciute le attenuanti generiche. Sono cadute le aggravanti per i futili motivi e per il delitto maturato nell’ambito di un contesto associativo. Tra 90 giorni si conosceranno le motivazioni della sentenza.
A rappresentare le parti civili: la mamma, i fratelli di Giulio Giaccio e la Fondazione Polis, l’avvocato Alessandro Motta. Rosa Palmiero, la mamma di Giulio, si è detta soddisfatta per la condanna. Ora si attende il riconoscimento ufficiale di Giulio come vittima innocente di camorra. “Confidiamo che in secondo grado”, spiega la famiglia, “siano riconosciuti i futili motivi dell’omicidio e il metodo mafioso”.