La Procura di Santa Maria Capua Vetere sta riscontrando le affermazioni relative ai quattro omicidi confessati da Mario Eutizia, il 48enne senza fissa dimora, napoletano d’origine, che si è costituto ai carabinieri di Caserta confessando di aver ucciso, somministrando loro potenti dosi di farmaci antitumorali, quattro anziani che accudiva perché “non sopportava di vederli soffrire”.
Due vittime sono campane: Luigi Di Marzo, 89 anni, morto a Casoria (Napoli) nel dicembre scorso, e Gerardo Chintemi, 96 anni, deceduto a Vibonati (Salerno) nel marzo scorso. Da identificare altri due pazienti di Latina che l’uomo ha detto di aver ucciso nel 2014, dieci anni fa, ma dei quali non ricorda i nomi e altri elementi per individuarli, dal momento che ha dichiarato di aver subito, mentre dormiva su una panchina, il furto del borsello con effetti personali e il cellulare nel quale c’erano i dati dei pazienti.
Diplomato in Ragioneria, separato, con una figlia, Eutizia aveva cominciato a fare qualche lavoretto saltuario prima di improvvisarsi badante dopo aver letto alcuni annunci sui giornali e venendo così incaricato per assistere alcuni anziani bisognosi di cure. Oltre ad avere uno stipendio più sicuro, in tal modo si assicurava anche un tetto sotto cui dormire. Nell’arco di dieci anni sono una trentina i pazienti per i quali ha lavorato. Poi qualcosa è scattato in lui dinanzi alle sofferenze di persone gravemente ammalate. Un sentimento di “pietà” che lo avrebbe portato a scegliere di essere il loro “liberatore”. Quattro le sue vittime nell’arco di dieci anni, fino a che ha deciso di confessare tutto per evitare di “uccidere ancora”.
Eutizia è stato rinchiuso nel carcere di Santa Maria Capua Vetere con l’accusa di omicidio premeditato. Le sue condizioni di salute non sono ottime ma non è stato possibile concedere i domiciliari visto che non ha fissa dimora, avendo sempre vissuto nelle abitazioni in cui lavorava fino alla morte dei pazienti. È stato proprio lui a fare in modo, costituendosi a Caserta, di essere portato nel carcere sammaritano, ritenendo di poter essere assistito meglio rispetto a quello napoletano di Poggioreale.