Server del Ministero della Giustizia violati: resta in carcere l’hacker Carmelo Miano

di Redazione

Resta in carcere l’hacker Carmelo Miano, l’ingegnere informatico quasi 24enne arrestato a Roma lo scorso 2 ottobre dalla Polizia Postale al termine di indagini, coordinate dai pm Onorati e Cozza del pool cybercrime della Procura di Napoli, guidato dal magistrato Vincenzo Piscitelli, riguardanti le effrazioni alla rete informatica del Ministero della Giustizia.

Lo ha deciso il gip di Napoli, Enrico Campoli, che ha rigettato, nell’ultimo giorno utile, la richiesta di scarcerazione avanzata dall’avvocato Gioacchino Genchi, legale del giovane attualmente detenuto a Regina Coeli. Per il giudice, inoltre, non sono sussistenti i presupposti per l’incompetenza territoriale e funzionale. Per quello che concerne le patologie evidenziate anche durante l’interrogatorio di garanzia, il tribunale ha disposto che la direzione sanitaria del carcere romano prepari delle relazioni che attestino lo stato di salute e la sua idoneità alle cure nella casa circondariale. L’avvocato Genchi ha già annunciato nei giorni scorsi il deposito di un’istanza di appello al tribunale del Riesame di Napoli e “una articolata memoria” che indirizzerà anche al procuratore di Perugia.

Il giovane “pirata informatico” siciliano, 24 anni a fine mese, che viveva alla Garbatella, ha sostenuto di aver dato inizio alle incursioni sui server del ministero della Giustizia in seguito ad alcune perquisizioni subite, ma anche a causa delle crisi di ansia da cui sarebbe ancora oggi affetto. Inoltre, ha parlato di episodi di bullismo di cui sarebbe stato vittima per una quindicina di anni, a partire da quando ne aveva appena quattro. Problemi sfociati in patologie di cui attualmente sarebbe affetto e che lo avrebbero costretto a casa e ad abbandonare la scuola per lunghi periodi.

Miano ha ammesso di aver violato la webmail dei magistrati di Napoli, ma anche di Roma e Gela, che già da tre anni stavano indagando su di lui. I primi “assalti” sarebbero stati di poca rilevanza, per poi diventare sempre più massicci col passare del tempo. L’hacker ha affermato di non aver visualizzato i messaggi di natura personale dei magistrati e di non aver mai veicolato i dati prelevati illegalmente dai server del ministero della Giustizia all’esterno del suo pc e di aver mostrato ad amici un documento, redatto dalla Guardia di finanza, che lo riguardava.

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