Libertà di stampa, Picierno: “La politica deve dare l’esempio e non contribuire a screditare i giornalisti”

di Antonio Taglialatela

Un riconoscimento annuale per il giornalismo d’eccellenza che promuove e difende i principi e i valori fondamentali dell’Unione europea, quali dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto e diritti umani. E’ il Premio Daphne Caruana Galizia, ideato e promosso dalla vicepresidente dell’Europarlamento, Pina Picierno, in memoria della giornalista maltese uccisa, il 16 ottobre 2017, per le sue inchieste sulla corruzione nel governo di Malta e i legami tra la politica e la criminalità organizzata.

Il premio quest’anno è andato a “Lost in Europe”, inchiesta condotta da un gruppo di media in Germania, Italia, Grecia, Paesi Bassi, Belgio, Irlanda e Regno Unito, che ha portato alla luce una realtà sconcertante: almeno 51.433 minori migranti non accompagnati sono scomparsi dopo essere arrivati in Europa tra il 2021 e il 2023; in media, quasi 47 minori scomparsi ogni giorno. I dati sono stati raccolti su 31 paesi europei, tra cui Austria, Germania e Italia. Tra i partner editoriali dell’inchiesta ci sono anche l’Ansa, con Angela Gennaro e Cecilia Ferrara, e il quotidiano Domani.

Nella sede del parlamento europeo di Strasburgo, dove si è tenuta la cerimonia di premiazione, abbiamo rivolto alcune domande alla vicepresidente Picierno (in alto il video).

Anche quest’anno lei ha promosso il premio, a difesa della libertà di stampa, intitolato alla Memoria di Daphne Caruana Galizia. Quali sono le sue impressioni su quest’ultima edizione? «Siamo alla quarta edizione ed ogni anno si moltiplicano le adesioni e le partecipazioni di tanti giornalisti che arrivano da tutti gli Stati membri, da tutto il territorio della nostra Unione Europea. Abbiamo voluto questo premio per ricordare che la libertà di stampa è assolutamente connessa alla tenuta delle nostre democrazie. Non ci può essere democrazia se non c’è libertà di stampa. Non ci può essere democrazia se i giornalisti non sono messi nella condizione di fare liberamente e senza condizionamenti il loro lavoro, di scavare nelle contraddizioni del nostro tempo. E lo abbiamo intitolato a Daphne Caruana Galizia perché la sua storia racconta esattamente questo bisogno. Purtroppo Daphne, per questa volontà di raccontare le contraddizioni, la corruzione, gli intrecci con la criminalità organizzata a Malta, è stata assassinata in maniera brutale, non prima di essere vilipesa, umiliata, screditata, costretta a lavorare in assoluta solitudine. E io sento il peso di quella solitudine, perché la solitudine in cui è stata lasciata Daphne interroga la nostra Europa, le nostre istituzioni».

Quali misure sono state adottate e quali ritiene ancora necessarie per affrontare il fenomeno delle intimidazioni e degli attacchi ai giornalisti? «Abbiamo approvato la direttiva sul Media Freedom Act, la direttiva anti-Slapp, messo in campo delle misure legislative per ridurre la possibilità che i giornalisti vengano limitati nel loro lavoro. Ma non è abbastanza perché, come vediamo ogni giorno, i casi di giornalisti intimiditi, minacciati, querelati, sono all’ordine del giorno. Questa è la ragione per cui noi ogni anno accendiamo questa fiammella di speranza, di attenzione, di discussione qui all’interno del Parlamento, per ricordarci che non abbiamo fatto abbastanza e che tanto dobbiamo fare, e lo vogliamo fare insieme, naturalmente, alle giornaliste e giornalisti».

Abbiamo ascoltato le testimonianze di giornalisti che provenivano da diversi Paesi europei che lamentavano, oltre alle minacce subite, la denigrazione del giornalista. Un fenomeno che ultimamente sta assumendo contorni inquietanti in provincia di Caserta, di cui lei è originaria, dove alcuni cronisti vengono accusati di essere dei “diffamatori” da politici, imprenditori e altri soggetti sottoposti a procedimenti giudiziari solo per aver fatto il proprio lavoro, quello di riportare notizie. Secondo lei, a parte la solidarietà di routine, cosa si può fare concretamente per arginarlo questo fenomeno? «Intanto, accendere un faro è sempre la cosa più importante. Quello che lei racconta è un rituale che si ripete. I giornalisti, prima di essere minacciati, vengono screditati per far pensare che la loro voce sia corrotta, sia inattendibile, sia inefficace rispetto al racconto che viene fatto. E poi c’è il passo successivo: una volta che ti hanno screditato, vilipeso, si arriva naturalmente alla minaccia. Noi dobbiamo intervenire nella prima fase, quando i giornalisti vengono screditati. E la prima soluzione è fare in modo che tutto questo arrivi all’opinione pubblica perché è chiaro che la denigrazione può trasformarsi in reato penale nel caso in cui diventi diffamazione. Però ci può essere anche un tentativo di screditamento magari più flebile, che non si configura come un fatto penale, comunque nello stesso tempo nocivo e negativo per la libertà di informazione e per la libertà di stampa».

Su questo la politica ha una grande responsabilità. «Certo, le classi dirigenti hanno il dovere di dare l’esempio. Anche perché spesso accade il contrario, che la politica è quella che contribuisce a screditare. Magari il giornalista racconta i fatti e il politico, invece di porsi al servizio di questo lavoro che abbiamo detto essere fondamentale per la tenuta democratica del Paese, contribuisce alla denigrazione. E su questo io sento la responsabilità, come un pezzo delle istituzioni europee, di denunciarlo, anche attraverso l’organizzazione di un premio come quello alla memoria di Daphne».

Scrivici su Whatsapp
Benvenuto in Pupia. Come possiamo aiutarti?
Whatsapp
Redazione
Condividi con un amico