Abbigliamento dalla Cina in Italia eludendo dazi e Iva: sequestri per 71 milioni

di Redazione

La Guardia di Finanza ha dato esecuzione a un decreto di sequestro preventivo di beni per oltre 71 milioni di euro nella disponibilità di 17 persone (13 di origine cinese e 4 italiana), indagate, a vario titolo, per le ipotesi di reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di numerosi reati tributari e all’abusiva attività finanziaria. L’importo è corrispondente all’imposta sul valore aggiunto che sarebbe stata evasa dall’associazione attraverso 29 soggetti economici (con sedi nelle province di Firenze, Prato e Roma) utilizzate per commettere un’ampia frode fiscale nell’importazione di beni dalla Cina.

L’operazione arriva al culmine delle investigazioni, dirette dalla Procura Europea capitolina ed eseguite dal Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Roma e dal 2° Nucleo operativo metropolitano di Firenze, dalle quali è emerso un progetto criminoso orchestrato principalmente da imprenditori di origine cinese perfettamente integrati nel tessuto economico e sociale italiano. Al vertice della struttura figurava una coppia di coniugi cinesi che, attraverso numerose società e professionisti compiacenti, riusciva a introdurre sul mercato italiano beni di provenienza cinese – quali capi di abbigliamento, calzature, borse ed accessori vari – immessi in libera pratica in altri Stati membri dell’Unione Europea, in completa evasione dell’Iva.

Il meccanismo di frode si basava sull’abuso del cosiddetto “regime doganale 42”, che consente l’immissione in libera pratica in uno Stato Ue, senza il pagamento dei dazi doganali e dell’Iva, dei beni destinati a essere consumati in un altro Stato membro. In concreto, come ricostruito anche attraverso canali di cooperazione attivati dalla Procura Europea in 9 diversi Stati membri, la merce cinese veniva “sdoganata” principalmente in Bulgaria, Ungheria o Grecia, e poi trasferita direttamente negli hub logistici ubicati in Italia, per la successiva commercializzazione. Dal punto di vista documentale, la merce subiva invece varie cessioni intracomunitarie tra operatori fittizi, accompagnate da fatture per operazioni inesistenti.

Al fine di evitare controlli da parte dell’Amministrazione finanziaria e doganale, le suddette società terminavano il loro ciclo vitale in un lasso di tempo molto breve (circa 2 anni), per essere poi sostituite da altri soggetti economici appositamente creati dal sodalizio per proseguire lo schema di frode. Le attività di indagine hanno, tra l’altro, fatto emergere come l’associazione criminale, sostituendosi agli ordinari canali di intermediazione finanziaria, offrisse alla comunità cinese stabilmente residente nel territorio nazionale, servizi occulti di trasferimento di denaro in madrepatria, previa richiesta di una percentuale sull’importo oggetto di transazione. IN ALTO IL VIDEO

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