Frode su “Bonus Facciate” e falsi crediti d’imposta: sequestrati oltre 4,6 milioni

di Redazione

Sequestrati crediti d’imposta, beni e denaro per un valore complessivo di 4,65 milioni di euro nei confronti di tre società riconducibili a due individui indagati per i reati di indebita percezione di erogazioni pubbliche, tentata truffa a danno dello Stato, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e autoriciclaggio.

Al centro delle indagini, eseguite dai finanzieri del comando provinciale di Vicenza in stretto coordinamento con la Procura di Verona, un meccanismo illecito attuato, tra il 2021 e il 2022, da due imprenditori edili veronesi che, tramite il meccanismo dello “sconto in fattura”, hanno generato e ceduto – a danno di 26 ignari committenti – crediti d’imposta falsi per un ammontare complessivo di 4 milioni e 659.192 euro, dichiarando interventi edilizi mai effettuati su immobili ubicati nelle province di Vicenza, Verona e Padova.

L’inchiesta si inserisce in una più ampia operazione di servizio condotta dai militari del Gruppo Vicenza volta ad accertare la corretta fruizione delle misure agevolative previste per gli interventi edilizi disciplinati dal “Decreto Rilancio”, normativa che consente, a fronte di interventi di recupero o restauro delle facciate esterne degli edifici, la possibilità di beneficiare, per l’appunto, di uno “sconto in fattura” o, in alternativa, di maturare un credito d’imposta cedibile a terzi di valore pari al 90% delle spese sostenute per i lavori realizzati. Più in particolare, già nell’agosto del 2023, i finanzieri del Gruppo di Vicenza avevano attivato la Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Verona per sospendere la compensazione di crediti per 450mila euro da parte di una delle società coinvolte.

Le successive investigazioni hanno consentito di rivelare che i crediti fittizi erano riferiti, per la gran parte, a interventi edilizi mai realizzati per i quali le due società appaltatrici erano totalmente sconosciute ai proprietari degli immobili, che non avevano mai commissionato i lavori né firmato i relativi contratti d’appalto. In alcuni casi, invece, per la generazione dei crediti fittizi, le aziende coinvolte hanno indebitamente fatto uso di dati acquisiti in occasione della richiesta di preventivi per la ristrutturazione di immobili da parte dei relativi proprietari. A riprova della “disinvoltura criminale” dei due indagati, le Fiamme gialle beriche hanno appurato anche che, in una circostanza, l’immobile oggetto di fittizio intervento non era mai stato di proprietà dell’ignaro committente.

Inoltre, anche nei pochi casi in cui i committenti avevano effettivamente sottoscritto un contratto di appalto, i lavori non erano stati comunque realizzati, fatta eccezione per un unico immobile sui quali sono stati eseguiti parzialmente. Non solo frode, ma anche (auto)riciclaggio. Dall’analisi dei flussi bancari è infatti emerso che circa mezzo milione di euro derivante dalla monetizzazione dei crediti fittiziamente generati è stato reimpiegato nelle attività economico-imprenditoriali riconducibili ai medesimi indagati. IN ALTO IL VIDEO

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