Soldi dal clan in cambio di “soffiate”: arrestato carabiniere di Teverola

di Redazione

Un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli ha portato all’arresto di un luogotenente dei carabinieri, Giuseppe Improta, originario di Teverola (Caserta), 58 anni, accusato di aver favorito il clan camorristico della 167 di Arzano in cambio di denaro e altri benefit. L’indagine ha coinvolto anche tre esponenti di vertice dell’organizzazione criminale – Aldo Bianco e Giuseppe e Mariano Monfregolo – delineando un sistema di corruzione e connivenza che si sarebbe protratto per anni.

Secondo le ricostruzioni investigative, il militare – all’epoca in servizio presso la tenenza di Arzano, di cui era stato comandante, e dal 2021 alla Dia di Napoli – avrebbe ricevuto un compenso mensile di mille euro, oltre a pagamenti straordinari fino a tremila euro e una serie di favori, tra cui manutenzioni domestiche, cambio di pneumatici e forniture di abbigliamento e vino pregiato. Ma la vera moneta di scambio erano le informazioni riservate: il carabiniere avrebbe rivelato dettagli su indagini in corso, notifiche di provvedimenti restrittivi e persino il posizionamento delle telecamere utilizzate dagli inquirenti per monitorare i movimenti del clan.

Tra le accuse più gravi, l’omissione nella registrazione di una misura di sorveglianza speciale nei confronti di un boss, Pasquale Cristiano, che avrebbe poi beneficiato di una falsa relazione di buona condotta. Inoltre, il militare avrebbe avvisato alcuni esponenti del clan di un’imminente operazione della Procura di Napoli, permettendo la fuga di due indagati e facendo sparire prove compromettenti.

Le indagini, condotte dai pm Giuliano Caputo e Simone de Roxas, si sono avvalse di intercettazioni ambientali e delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, che hanno confermato il ruolo chiave del carabiniere all’interno del sistema di protezione garantito al clan. Il giudice per le indagini preliminari, Carla Sarno, ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per quattro indagati, contestando reati che vanno dalla corruzione continuata alla rivelazione di segreto d’ufficio, con l’aggravante mafiosa.

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