Morta in un dirupo a Ischia, Marta Maria fu uccisa: sotto accusa il compagno

di Redazione

Una caduta, una frattura alla caviglia, la richiesta disperata di aiuto. E poi l’orrore. Non fu un incidente, non fu una tragica fatalità. Marta Maria Ohryzko, 32 anni, ucraina, sarebbe stata uccisa. Sotto accusa il compagno della donna, Ilia Batrakov, 41 anni, cittadino russo, al quale la Procura di Napoli contesta l’omicidio volontario pluriaggravato. L’uomo è già in carcere, a Poggioreale, dal 15 luglio scorso per maltrattamenti in famiglia aggravati dall’evento morte, ma le indagini dei carabinieri di Ischia e del pubblico ministero Alfredo Gagliardi (IV sezione, fasce deboli, coordinata dall’aggiunto Raffaello Falcone) stanno aprendo nuovi, agghiaccianti scenari.

Le prove decisive? Le intercettazioni ambientali, le conversazioni telefoniche tradotte dal cirillico, la consulenza autoptica. E soprattutto la cronologia degli eventi, minuto per minuto. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, il 13 luglio 2024, in località Vatoliere, sul territorio del comune di Barano d’Ischia, Marta cadde in un dirupo nei pressi della roulotte dove conviveva con Batrakov. Si ruppe una caviglia, restò immobilizzata. Dalle 15.45 alle 19.33 di quel sabato, la donna inviò una serie di messaggi strazianti al compagno: “Sono caduta”, “Aiutami per favore ad alzarmi”, “Perdonami per tutto… con questo mi salvi”. Nessuna pietà da parte dell’uomo, che pur sapendo dove si trovava, ignorò ogni appello. Non solo. Cancellò le chat da WhatsApp per eliminare le prove e costruire un racconto alternativo.

Alle 21.17 Marta riuscì a parlare con lui per cinque minuti. L’ultima chiamata, alle 21.24, non ricevette risposta. Poco dopo, morì. Ma non per la caduta. È stato il medico legale a svelare la verità: fu colpita all’occhio sinistro con un pugno, poi soffocata con una mano sporca di terra e erba. Tracce di terriccio sono state trovate nei polmoni, inalate nel disperato tentativo di respirare. In carcere, intercettato durante un colloquio, Batrakov si è lasciato andare a un commento rivelatore: era inquieto per il fatto che i consulenti si stessero concentrando proprio sui polmoni della donna.

Il suo tentativo di screditare Marta, descrivendola come un’alcolizzata, è stato smentito dagli esami tossicologici: nessuna traccia di alcol, ma solo farmaci compatibili con una cura antipsicotica. Nulla che giustificasse quella violenza, né quel disprezzo che Batrakov aveva manifestato più volte anche in passato: “Gli ucraini devono morire”, avrebbe detto secondo testimonianze raccolte. Una spirale di violenza lunga anni, fatta di pugni, bruciature, minacce. Denunce annunciate e poi ritirate. E alla fine, il silenzio. Quello di Marta, che aveva scelto di tacere per proteggere chi l’avrebbe poi condannata a morte.

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