TRENTOLA DUCENTA. L’ultima sfida dei boss casalesi: ricchi e potenti sfruttando i giovani. Salvatore Santoro, detto Salvaturiello, compirà 21 anni il prossimo 29 dicembre. E’ nato ad Aversa e cresciuto a Trentola, pochi chilometri più in là verso l’autostrada, accanto a un gigantesco e ambizioso centro commerciale chiamato Jambo 1.
Con qualche minuto di macchina si arriva a Casal di Principe, e poi Villa Literno, Villaggio Coppola, fino a Castel Volturno e alla Domiziana. Il regno dei Casalesi, il clan di camorra più feroce. E forse il più ricco. Guidato da Francesco «Sandokan» Schiavone, chiuso in galera, da due latitanti storici come Michele Zagaria e Antonio Iovine detto «O Ninno», e da un killer che sta salendo tutti i gradini per sedersi accanto agli altri capi: Giuseppe Setola, che domani potrà festeggiare il primo compleanno da ricercato spegnendo 38 candeline.
Di Setola, Salvaturiello Santoro è stato uno degli scudieri fino a un mese fa. L’ha nascosto in casa sua, lo ha accompagnato nei suoi giri da latitante, gli recapitava ambasciate e messaggi, prendeva ordini e li eseguiva, andava in giro a imporre una certa marca di caffè ai bar delle zone controllate dal clan. Un incensurato appena ventenne al servizio del casalese più spietato e pericoloso del momento, il cui unico problema con la giustizia (prima dell’arresto del 24 ottobre) era il sequestro della patente. «E’ un affiliato al gruppo Setola e percepisce uno stipendio mensile», ha raccontato di lui il pentito Oreste Spagnuolo, che lo ha coinvolto anche in uno dei tanti omicidi degli ultimi mesi: «Partimmo da casa di Salvaturiello, e dopo l’omicidio ci allontanammo senza particolare apprensione. Era come se facessimo una passeggiata. Ricordo che incontrammo anche una pattuglia che però, pur vedendoci, non ci fermò.
Salvaturiello sapeva che si doveva uccidere, e si impegnò a controllare che non ci fossero forze dell’ordine in zona».
Per inquirenti e investigatori il reclutamento di un giovanissimo come Santoro è il segno del fascino e del richiamo anche «culturale» che ancora esercita la camorra. Nonostante Saviano e il successo mondiale di Gomorra, nonostante la controffensiva di magistratura e forze dell’ordine per fare terra bruciata intorno a sicari ed estorsori. Fascino per un potere che garantisce prestigio, prima ancora che soldi facili. Il giro d’affari è enorme, le cifre stimate dei traffici illeciti (riportate nel libro della giornalista del Mattino Rosaria Capacchione, L’oro della camorra, in uscita per Rizzoli) sono almeno a sei zeri, per milioni di euro. La cassa del gruppo Setola, gestita personalmente dal capo, secondo il pentito Spagnuolo fa muovere 90.000 euro al mese; per gli stipendi agli affiliati del gruppo Schiavone, invece, la polizia ha stimato uscite mensili per oltre 300.000 euro.
Principale fonte di finanziamento per le spese correnti restano le estorsioni, e la legge del racket in provincia di Caserta s’impone attraverso gli omicidi. Che servono addirittura a sollecitare offerte di pagamento da parte delle vittime, com’è capitato quest’estate dopo l’eliminazione di Raffaele Granata, gestore dello stabilimento balneare «La Fiorente » a Castel Volturno. L’hanno ammazzato l’11 luglio, con la stessa pistola Beretta calibro 9×21 che un mese prima ha ucciso l’imprenditore Michele Orsi e un mese più tardi due immigrati albanesi. «Dopo circa una decina di giorni dall’ omicidio – ha svelato il pentito Spagnuolo – i figli del defunto Granata Raffaele contattarono prima una terza persona, la quale a sua volta contattò un tale “Peppe Braciola” il quale a sua volta arrivò a una persona a noi vicina. Questi ci contattò, facendoci sapere che erano disposti a pagare; cosa che fecero versando, attraverso “Peppe Braciola”, 10.000 euro. Questi ci portò direttamente la somma, consegnandola me presente ». Il potere della camorra casalese, insomma, arriva al punto che dopo un omicidio i figli del morto ammazzato contattano i probabili assassini per far sapere loro di essere disposti a pagare. E pagano. Sono i frutti raccolti dalla campagna di terrore seminata da Giuseppe Setola dopo la sua evasione da una clinica di Pavia, nell’aprile scorso. Un altro collaboratore di giustizia delle ultime settimane, Emilio Di Caterino, rimasto accanto al capo fino all’estate e poi allontanatosi proprio per dissociarsi dalla catena di delitti, incontrò Setola subito dopo la sua fuga dal-l’ospedale: «In quel periodo stava a casa di Salvaturiello,
i cui genitori fanno i macellai. Abitano in un palazzo ove hanno una sala giochi, nei pressi del Jambo. Nel suo discorso Setola mi disse subito che bisognava uccidere Umberto Bidognetti, Domenico Noviello e Michele Orsi».
Sono i primi tre nomi dell’elenco di 18 persone sterminate da maggio a oggi. «Questi tre omicidi – ha continuato il pentito – furono così spiegati da Setola: Umberto Bidognetti doveva essere ucciso perché era il padre di Domenico Bidognetti (collaboratore di giustizia, ndr); Domenico Noviello doveva essere ucciso perché era una persona che aveva denunciato i suoi estorsori del clan Bidognetti, e bisognava dare un esempio agli imprenditori della zona di Castel Volturno; Michele Orsi doveva morire perché aveva iniziato a rendere dichiarazioni collaborative con la giustizia nella materia dei rifiuti ».
Tutto è avvenuto secondo i programmi, e un’inesorabile scansione temporale: Bidognetti ucciso il 2 maggio, Noviello il 16 maggio e Orsi il 1˚ giugno; un morto ammazzato ogni due settimane. Per gli investigatori e il pool di pubblici ministeri napoletani che indagano sui Casalesi (i sostituti procuratori Ardituro, Conzo, Del Gaudio, Falcone, Maresca, Milita e Sirignano) l’omicidio dell’imprenditore Orsi, che pagava tangenti al clan Schiavone e aveva cominciato a riempire qualche verbale d’interrogatorio, avvenuto una domenica mattina nel pieno centro di Casal di Principe, è il segnale di un patto di ferro stretto tra Sandokan e Setola. Il quale, oltre all’appoggio di giovani apparentemente puliti come Salvaturiello, sembra poter contare di qualche complicità anche all’interno delle istituzioni.
Il pentito Spagnuolo ha raccontato di telefonini e altre regalie offerte a un maresciallo dei carabinieri, in servizio alla stazione di Castel Volturno- Pinetamare, in cambio di informazioni sulle indagini in corso e sulla dislocazione delle telecamere nei luoghi d’azione del clan. I pubblici ministeri hanno arrestato il carabiniere, il giudice l’ha scarcerato per insufficienza di indizi, ma resta indagato per il reato di concorso in associazione mafiosa. E altri appoggi il killer deve averli avuti per farsi ricoverare nella clinica di Pavia dalla quale è evaso sette mesi fa, per prendere la testa del clan dei Casalesi e attuare la sua «strategia di incutere terrore sul territorio», come l’ha chiamata Spagnuolo.
Corriere della Sera (Giovanni Bianconi)