TRENTOLA DUCENTA. “Li dobbiamo levare di mezzo, hai capito? Na botta nfaccia, vai”. Voci gutturali. Parole tronche. Il ghigno della distrazione e leccitazione dei giustizieri di mafia.
Adrenalina e analfabetismo, bestemmie e insulti. In testa hanno soprattutto le femmine (le proprie) e il sangue (dei nemici). Un manifesto di bestialità casalese.
Ecco quale lingua parlano Giuseppe Setola e il suo commando di fuoco, mentre stanno per uccidere. Eccoli cantare, un attimo prima di seminare sangue e terrore. E ridere. Gli assassini intonano gorgheggi da neomelodici. La goliardia galleggia nellauto sotto intercettazione, mentre i criminali impugnano sotto i giubbotti pistole e kalashnikov e coprono in auto i pochi metri dalle loro case verso i nemici, diretti come schegge sui bersagli e le loro famiglie da massacrare.
Abbandonati ai sedili, i killer guidati dal capostragista di Casal di Principe biascicano lamenti da innamorati, musica stampata su cd quasi clandestini. “Tu si zucchero per me, doce doce doce”. E poi, arrivati a destinazione, sparano. Una pioggia di fuoco. Potente. Incessante. Centosette colpi di semiautomatiche e di un kalashnikov. Ma sono raffiche che lo Stato ascolta quasi in diretta. È impossibile fermare quel branco per tempo. Resta però la prova schiacciante. Oltre venti interminabili minuti di intercettazione. Un documento choc. Un supporto di straordinario valore probatorio. Che resterà nelle pagine dellantimafia di Napoli. E da stamane diventa indizio schiacciante. Integrato allo rdinanza di custodia, per duplice tentato omicidio, che sarà contestata proprio oggi, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, a Giuseppe Setola e ai suoi sicari, dai pubblici ministeri Alessandro Milita e Cesare Sirignano, con il procuratore antimafia Franco Roberti.
Il sonoro della violenza cieca è targato “FO 25”, numero in codice della captazione eseguita dai carabinieri del casertano, coordinati dal colonnello Carmelo Burgio. In quel file cè il racconto audio del fuoco esploso dai sicari a 360 gradi contro finestre, abitazioni e gente inerme. La missione è sterminare i nemici. Regia criminale ed esecuzione di Giuseppe Setola, il terrorista del gotha mafioso di Casal di Principe, il trentottenne e pericoloso capobranco, lucida follia criminale al servizio “politico” dei padrini più imprendibili di lui. Solo che questo “film” si ascolta in diretta dalle viscere di un impero mafioso. È Gomorra, ben oltre il lungometraggio del mancato oscar. Questo è un film senza immagini, senza sceneggiatura, né aggiustamenti dettati dal cast. Ma si imprime: pura verità nel suo divenire criminale. La registrazione è in mano alla Procura di Napoli che ha firmato la cattura del boss.
Lintercettazione racconta in diretta due tentati omicidi. I centosette colpi, canzoni intonate dai killer e il tempo persino per concedersi un caffè. Il tutto condito da recriminazioni e volgarità contro i due bersagli che sono sfuggiti al loro grilletto. È lultimo raid firmato da Setola, quasi un mese prima della sua resa ai carabinieri e ad unimponente caccia alluomo tra Campania e Lazio. Si tratta del duplice agguato di Trentola Ducenta, nel casertano.
È il 12 dicembre scorso, sono le 22. Le due spedizioni punitive vengono messe a segno a distanza di pochi secondi, sempre nel cuore del paese di Trentola, lo stesso sgarrupato paese dove – venti giorni più tardi- si scoprirà il covo di Setola, quella topaia di via Cottolengo in cui Setola si rifugia con la moglie, che si è trascinata lì con la sua shopping Louis Vuitton, gioielli, profumi e 17mila euro in contanti, un basso dal quale il boss riesce a fuggire calandosi nelle fogne e strisciando nelle melma per oltre un chilometro e mezzo.
La sera del 12, dunque. Setola si sente ancora spavaldo e imprendibile. Escono armati di almeno quattro armi. Ma gli inquirenti trovano un tappeto di bossoli: tracce di un fucile mitragliatore calibro 7.62, tipo AK 47, di una pistola calibro 9 per 21 ed unaltra semiautomatica calibro 9 corto.
La follia criminale si concentra contro due nemici, Salvatore Orabona e Pietro Falcone. Il primo, vanno a colpirlo in via Caravaggio. Il secondo, a pochi minuti di auto, in via Vittorio Afieri. Entrambi sono “colpevoli”, agli occhi del capobranco, di non aver versato parte delle tangenti raccolte sul territorio nella cassa di Setola. Non lo riconoscono come il plenipotenziario del padrino Bidognetti, oggi in carcere. In azione, cè un commando di cinque o sei uomini. Due auto portano i killer, una delle quali è la Lancia Y sotto intercettazione.
Il viaggio raccontato da “loro”, dai sicari, è un sonoro raggelante. “Ma noi quando arriviamo là sopra, chi vogliamo trovare?”. Laltro risponde: “Ci vuole una botta in faccia. Dobbiamo uccidere a tutti e due”. Passano pochi minuti, cantano. Poi arrivano in via Caravaggio. Si fanno avanti Granato e Barbato, due dei killer. Ma il trucco di attrarre fuori del portone Orabona con un vassoio di dolci e una bottiglia di spumante non funziona. Allora quelli sparano come pazzi. Le vittime si richiudono in casa, chiamano il 113. E i killer si scatenano. “Cornuto vieni fuori”, gridano. “Dai esci cornuto, che uomo sei”. E ancora: “Mannaggia ora ho finito il caricatore e adesso ho soltanto la 38”. Insulti alla moglie, bestemmie. “Lo dobbiamo appicciare anche di notte”, gli veniamo ad appiccare il fuoco.
Risulterà poi, la perfetta coincidenza logica e temporale tra questa registrazione e lintercettazione simmetrica, stavolta telefonica, del raid così come lha vissuta la mancata vittima, Orabona. Che parla al cellulare con lamico Peppe e si sfoga: “Hai capito? Quel cornuto è venuto a citofonare con una guantiera di paste e la bottiglia di champagne. Ma io lho visto, e dietro a lui cera Peppe Setola, cera Cascione. Hanno sparato come i pazzi, io mi sono salvato perché tenevo il pigiama e mi stavo cambiando, ma se io già mi ero messo la camicia e mi affacciavo, ero morto”. A sparare, attestano anche i pm, cè infatti Setola con il mitragliatore, ovvero Peppe a puttana. Ma con lui il branco dei fedelissimi: Giuseppe Barbato detto Peppe o Cascione, Raffaele Granata, Angelo Rucco, detto Angioletto o Chiattone. E i pm sospettano anche di Paolo Gargiulo, per il gruppo Calimero: luomo già segnato in rosso nelle intercettazioni perché fu luomo che parlò, senza sapere di essere captato, dei cinquanta chili di tritolo in possesso del gruppo Setola.
da Repubblica Napoli (Conchita Sannino)