TEHERAN. “Sono una peccatrice”. Sakineh Mohammadi Ashtiani, l’iraniana condannata a morte per complicità nell’omicidio del marito, ha aperto in questo modo l’intervista trasmessa dal canale della tv pubblica iraniana ‘Channel 2’.
In questa presunta autoaccusa, Sakineh ha addirittura puntato il dito contro Mina Ahadi, portavoce del Comitato Internazionale contro la Lapidazione, accusandola di avere strumentalizzato la sua vicenda per fini personali. Per tutta la durata dell’intervista, andata in onda in lingua azera e sottotitolata in farsi, il volto dell’iraniana è stato oscurato. Non è la prima volta che Sakineh sembra avvalorare pubblicamente le accuse delle autorità: già in passato, però, suo figlio aveva affermato che certe confessioni le erano state estorte con la forza. La stessa stampa internazionale, a proposito del programma di “Channel 2”, parla di “mistificazioni”.
LE PRESUNTE AMMISSIONI. Prima della sua ultima apparizione in video, le autorità hanno presentato Sakineh accusandola di omicidio, ma tralasciando la condanna alla lapidazione comminata in primo grado nel 2006. Nel servizio ‘Channel 2’ ha accusato, inoltre, l’ex avvocato della donna, Mohammad Mostafaei, e il legale che ufficialmente ancora la assiste, ma al momento in carcere, Javid Houtan Kian, “di avere cercato scuse per chiedere asilo nei Paesi occidentali”. Mostafaei è in Norvegia, mentre Kian è stato arrestato ad ottobre insieme al figlio della donna, Sajjad Qaderzadeh e a due giornalisti tedeschi (ufficialmente incriminati per spionaggio). Dopo l’intervista a Sakineh, il servizio è proseguito con le dichiarazioni di Sajjad: anche lui, in questo caso, ha accusato senza mezzi termini l’avvocato Kian. “(Kian, ndr) Mi ha detto di dire che Sakineh era stata torturata. Io purtroppo l’ho ascoltato, rilasciando dichiarazioni false ai media stranieri”, ha affermato. Dal canto suo, il legale di Sakineh, rispondendo a queste dichiarazioni, ha confermato di “essersi raccomandato con Sajjad di mentire ai media”. Il programma ha mostrato quindi per la prima volta in video i due giornalisti tedeschi arrestati a ottobre a Tabriz, nel nord-ovest dell’Iran, insieme a Sajjad e Kian. Entrambi non sono stati identificati, ma hanno ammesso di essere responsabili di “azioni illecite”. Uno di loro ha criticato la Ahadi, sostenendo che la portavoce del Comitato contro la Lapidazione l’aveva convinto a recarsi in Iran “perché sapeva che avrebbe beneficiato di un eventuale mio arresto. Per questo motivo – ha aggiunto – la denuncerò quando tornerò in Germania”.
LA REPLICA. Secca la replica al servizio di ‘Channel 2’ da parte della Ahadi. “Non stanno solo attaccando me, ma il nostro Comitato e tutti coloro che con successo stanno portando il caso Sakineh all’attenzione del mondo”, ha affermato la donna in un’intervista al quotidiano britannico ‘Guardian’. “Se non ci fosse stata questa campagna – ha precisato – Sakineh sarebbe già stata uccisa e questo li sta facendo arrabbiare”.
FRANCIA. Intanto, la Francia ha denunciato violenze da parte di “servizi di sicurezza non identificati” iraniani all’ingresso della residenza del suo ambasciatore. Non è chiaro se l’episodio sia collegato al caso Sakineh: di certo, il governo di Parigi è stato tra quelli che ha esercitato maggiori pressioni su Teheran. In comunicato diffuso alla stampa, il ministero degli Esteri francese riferisce anche di aver convocato l’ambasciatore iraniano a Parigi per protestare e chiedere spiegazioni. I fatti, ha precisato il portavoce del Quai d’Orsay, Bernard Valero, risalgono a domenica scorsa quando si sono “prodotti incidenti particolarmente gravi all’ingresso della residenza (diplomatica,ndr) della Francia a Teheran, il cui accesso è stato ostacolato da servizi di sicurezza non identificati che hanno proceduto all’arresto di persone invitate dall’ambasciatore di Francia e hanno compiuto atti di violenza inaccettabili, anche contro il personale diplomatico francese”. “Dopo questi incidenti – ha aggiunto Valero – le autorità francesi hanno convocato questa mattina l’ambasciatore iraniano a Parigi per comunicargli la loro condanna più forte per questa violazione estremamente grave della Convenzione di Vienna del 18 aprile 1961 sulle relazioni diplomatiche”.