L’interrogatorio di Ratko Mladic, l’ex generale dei serbi di Bosnia catturato il 26 maggio, dopo circa 16 anni di latitanza e imputato del genocidio di circa 8mila civili musulmani a Sebrenica nel 1995, …
…è stato interrotto giovedì sera al Tribunale di Belgrado a causa del suo precario stato di salute e dovrebbe riprendere in giornata. I medici devono stabilire le effettive condizioni dell’ex generale e decidere se è in grado di riprendere l’interrogatorio in vista di una sua estradizione all’Aja, evenienza contro cui si prevede che Mladic cercherà di opporsi in ogni modo. L’ultima parola spetterà comunque al Ministero della giustizia serba; la decisione si saprà fra una settimana. La Russia ha chiesto che il processo, che si terrà davanti alla corte penale internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia, sia imparziale.
Il suo avvocato, Milos Saljic, ha detto che Mladic non è stato in grado di reggere l’interrogatorio. “L’unica cosa che ha affermato è che non riconosce il Tribunale penale dell’Aja”, ha aggiunto. Secondo il viceprocuratore serbo per i crimini di guerra, Bruno Vekaric, invece, Mladic sarebbe stato capace di parlare e rispondere alle domande durante l’interrogatorio. “Si è addirittura rivolto a me chiamandomi per nome. Ma come, lei non mi conosce e mi chiama per nome”, gli ha fatto osservare il magistrato. “Ho seguito regolarmente la tv”, ha risposto Mladic.
L’ex generale, che ha passato la prima notte in una cella del Tribunale e stamattina ha ricevuto la visita di moglie e figlio, era giunto nella capitale serba ieri pomeriggio, con addosso un giubotto blu e un cappello da baseball, dopo essere stato arrestato dal corpo speciale di intelligence serbo, (Bia), in collaborazione con la polizia, a Lazarevo, un piccolo villaggio di campagna di appena 3mila abitanti a 80 chilometri da Belgrado in cui aveva trofato rifugio da tempo. Il sessantanovenne latitante, che si faceva chiamare Milorad Komadic e che agli agenti è apparso malridotto e visibilmente invecchiato, non ha opposto resistenza alla cattura, anche se in suo possesso aveva due pistole.
Mladic è passato alla storia come il boia di Srebrenica. Ufficiale dell’esercito serbo-bosniaco, uomo duro e spietato, non si fermò di fronte a vittime inermi. Fu lui a guidare i reparti d’attacco a Srebrenica. Quando esplode la guerra con la Croazia nel 1991, con il grado di colonnello assume il comando delle unità dell’esercito federale jugoslavo a Knin, che diventerà di lì a poco la capitale dei secessionisti serbi di Croazia. Di quel periodo si ricordano i pesanti bombardamenti ordinati su Zara dalla montagna che sovrasta la città, tattica che verrà perfezionata con gli assedi di Sarajevo, Gorazde, Bihac e Srebrenica nella successiva guerra in Bosnia.
Diventa il comandante dell’esercito dell’autoproclamata Repubblica Serba di Bosnia. In sei mesi di guerra, conquista il 70% del territorio della Bosnia, avendo a disposizione la potenza militare dell’Armata popolare jugoslava (Jna) contro bosniaci e croati disarmati e inesperti. I suoi uomini attuano una brutale pulizia etnica (due milioni e mezzo di persone cacciate dalle loro terre e dalle loro case) in nome della Grande Serbia. Con lui tornano in Europa i campi di concentramento nei quali migliaia di prigionieri vengono picchiati, torturati, affamati e uccisi. I suoi uomini praticano lo stupro etnico come arma di guerra.
Contro di lui, così come contro l’ex presidente Radovan Karadzic, il Tribunale penale delle Nazioni unite formalizza, nel luglio e nel novembre 1995, due atti di accusa per genocidio e crimini contro l’umanità. Nel 1996, il Tpi emette contro i due un mandato di cattura internazionale. Nel novembre dello stesso anno, Mladic viene destituito dal comando dell’esercito serbo bosniaco ma continua a vivere tranquillamente tra Bosnia e Serbia, protetto dall’esercito dei suoi ex subordinati bosniaci e da quell’esercito jugoslavo di cui ha sempre fatto parte. Protezioni che dureranno anche dopo la caduta del presidente jugoslavo Slobodan Milosevic, nell’ottobre 2000.
Tra le vittime della guerra in Bosnia vi è stata anche la sua unica figlia, Ana, che a 23 anni, nel 1994, si è suicidata a Belgrado. Secondo alcuni per quello che il padre stava facendo in Bosnia, secondo altri per la morte del suo fidanzato che Mladic, per allontanarlo da lei, aveva mandato al fronte. L’ex generale era uno dei due ultimi criminali di guerra serbi ancora latitanti e richiesti dal Tribunale penale internazionale dell’Aja. L’altro è Goran Hadzic, ex capo politico dei serbi di Croazia.