Valanga Himalaya, recuperato il corpo dell’alpinista italiano

di Redazione

 KATHMANDU. È stato recuperato il corpo di Alberto Magliano, l’alpinista lombardo morto domenica sotto la valanga che si è abbattuta sulle pendici del Manaslu, in Nepal.

L’intervento è stato compiuto dalle squadre di soccorso nepalesi che stanno ancora operando sul posto. Il corpo – come ha confermato Agostino da Polenza, da poco atterrato a Kathmandu – è stato portato in elicottero a valle ed è stato composto nell’obitorio dell’ospedale della capitale nepalese in attesa del nulla osta per il rimpatrio. Gli altri due alpinisti italiani coinvolti nella caduta della valanga, Silvio Mondinelli e Christian Gobbi, si trovano in albergo e sono in buone condizioni fisiche.

“Siamo stati travolti dalla valanga. Ha portato via una trentina di tende mentre dormivamo”, ha raccontato Silvio Gnaro Mondinelli, uno dei supersiti. Gli italiani che partecipavano alla spedizione erano tre: Silvio Gnaro Mondinelli, Christian Gobbi e Alberto Magliano, noto per essere stato il primo alpinista non professionista (e il secondo italiano dopo Reinhold Messner) ad aver conquistato le “Seven summits”, le vette più alte di ogni continente.

Marco Confortola invece è scampato alla tragedia perché si trovava al campo base. “Io e Christian stiamo bene, siamo arrivati al campo base poco fa – ha raccontato Silvio Gnaro Mondinelli – ma purtroppo Alberto non ce l’ha fatta. L’abbiamo estratto dalla neve con lo sherpa, e siamo rimasti su ad aspettare per portarlo giù, ma gli elicotteri stanno trasferendo i feriti a valle e ci hanno detto che ci sarebbe voluto tempo. Stasera tardi, o più probabilmente domani mattina, risalgo con l’elicottero per andare a prenderlo. Non riesco a pensarci, era diventato nonno ieri e piangeva di gioia. E’ terribile”.

La tragedia è avvenuta alle 4.20 del mattino. “Io ero in tenda con Christian, ci siamo ritrovati travolti e colpiti da blocchi di ghiaccio e neve. Dopo 200 metri la valanga ci ha buttato fuori. Abbiamo perso tutto, eravamo senza scarpe. Era buio, non c’era luce, non si vedeva niente”. “La tenda di Alberto era proprio vicino alla nostra. – prosegue Mondinelli – Non riesco a capacitarmi che sia morto. Lui aveva all’interno bombole d’ossigeno che forse hanno fatto peso e l’hanno trascinato in basso, mentre noi eravamo più leggeri. Non lo so. Comunque lui è finito in profondità e non ce l’ha fatta. Lo abbiamo tirato fuori ma non c’era più niente da fare”.

Alberto Magliano, nato a Trieste nel 1945, milanese d’adozione, lavorava come consulente nel settore turistico dopo aver ricoperto incarichi manageriali in varie importanti società. Si era sposato due volte e aveva una figlia, Silvia, che proprio ieri ha avuto un bambino.

Sul suo sito sevensummits.it aveva raccontato la sua passione per la montagna scoperta “tardi”, a 36 anni, e la sua impresa di scalare i picchi più alti di ogni continente. “Perché scalare una montagna? Perché è lì”, era una delle citazioni preferite di Magliano, che prendeva a prestito le parole di George Leigh Mallory, precursore del moderno himalaysmo. L’alpinismo era la sua passione, non la sua professione, ma i risultati raggiunti negli anni erano equiparabili a quelli dei grandi alpinisti italiani.

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