TUNISIA. Da vittima a colpevole: una donna stuprata da due agenti della polizia rischia sei mesi di detenzione in carcere con l’accusa di “offesa al pudore” e “oscenità premeditata e ostentata”.
La vicenda ha come protagonista una giovane tunisina 27enne che, dopo aver subito un abuso da parte di due agenti della polizia, vede ora gravare sul suo capo una condanna in carcere, che ha fatto mobilitare le associazioni locali ed internazionali per il suo rilascio. La vicenda, per l’evoluzione dei fatti, risulta essere alquanto singolare per una mente occidentale, ma una consuetudine per le ideologie locali. In un giorno di settembre, nel quartiere di Tunisi Aïn Zaghouan la giovane si era appartata in auto con il suo ragazzo, dopo una cena, scatenando la curiosità di un gruppo di poliziotti in borghese, che fermavano i due giovani per il loro comportamento giudicato incedente. Per rilasciarli, la polizia aveva chiesto il pagamento di un’ammenda di 300 dinari. Il giovane, che non disponeva con sé la cifra richiesta, fu costretto a recarsi ad un bancomat, scortato da un agente.
Nel frattempo, poiché la ragazza era alla guida dell’auto, la conclusione dei poliziotti è stata che si trattasse di una donna sposata e dunque colpevole di comportamento immorale. Lei, 27 anni, una laurea in scienze delle finanze e un master in management, giurava di essere vergine e che si sarebbe sottoposta a un test, se necessario. I due agenti rimasti con lei l’hanno fatta sedere sul sedile posteriore della loro auto, l’hanno portata in un luogo isolato e violentata a turno. Poi hanno raggiunto il terzo poliziotto rimasto col ragazzo alla ricerca – infruttuosa – di un bancomat. Il ragazzo, che si è accorto dell’accaduto, è riuscito a strappare la bomboletta di gas immobilizzante a uno degli agenti, e ha cominciato a gridare. I poliziotti hanno rilasciato i giovani in cambio della bomboletta. Il soccorso ospedaliero non è stato tuttavia immediato: solo il giorno successivo la giovane è riuscita ad avere le cure necessarie e l’accertamento medico che quanto da lei dichiarato nei verbali corrispondeva al vero. Gli agenti stupratori sono stati arrestati, ma al momento del primo confronto la vittima si è trovata a doversi difendere dall’accusa “di offesa al pudore”.
La giovane tunisina è stata riportata in tribunale, dove gli è stata riconfermata l’accusa: tra le questioni dibattute in aula anche la quantità di coscia visibile per definire la volontà o meno di ostentare, la misura dell’orlo della gonna sarà dunque il discrimine per comminare la pena, mentre l’altra linea di demarcazione sembra essere la discussa verginità. Davanti al tribunale una folla di almeno trecento persone, tra cui membri dell’Assemblea Costituente, Ong, e associazioni di femministe, ha manifestato durante l’udienza contro la palese ingiustizia. La ragazza, raggiunta anche da un messaggio di solidarietà dal governo francese, si è detta molto incoraggiata dal sostegno che le sta arrivando dal mondo intero.
Cosa vuol dire “offesa al pudore”? A ispirare il processo è l’articolo 226 del codice penale, retaggio della vecchia dittatura. E’ una norma abbastanza vaga da lasciare ampio margine allo zelo della pubblica accusa. Fornisce infatti a qualsiasi violentatore la scusa per trasformare la vittima in accusata o di mettere questa nelle condizioni di aver paura di denunciare, ed è anche una una sorta di comoda valigia dentro cui infilare ogni pretesto.