Palermo. “Sono una bambina, non una sposa” è il drammatico spot dell’Unicef lanciato dalla sociologa palermitana Giorgia Butera (con la collaborazione della fotografa Alessandra Lucca, dell’esperta di Medioriente Valentina Polini e della fotoreporter Federica Simeoli)
per sensibilizzare il mondo occidentale sulla questione spinosa delle bambine che, in paesi come Yemen, Turchia, Zimbawe, Kuwait, Nepal e Niger, vengono date in spose a uomini molto più grandi di loro (generalmente di 40, 50, ma anche 60 anni). La campagna è partita il 22 Settembre, ma a distanza di mesi sta già portando i suoi frutti, almeno per quanto concerne un graduale processo di indignazione internazionale nei confronti di una pratica che suona quasi come un tipo di “pedofilia legale”.
La fotografa Alessandra Lucca ha ritratto una bambina con in testa un velo bianco e in braccio un bambolotto, un’immagine volta a sottolineare la gravità di questa pratica. Sono circa 70 milioni le donne che nel mondo contraggono matrimonio ancora minorenni: molte di esse non raggiungono una maturità fisica tal da permettere di distinguere le forme dei loro corpi da quelle maschili.
Toccante, a tal proposito, è la storia di Rawan (8 anni). In un’età in cui le sue coetanee italiane, o di altri paesi sviluppati, giocano con le bambole protette dal calore delle loro famiglie, la piccola Rawan diventa moglie di un quarantenne e muore tragicamente durante la sua prima notte di nozze.
La causa della morte è orrendamente scontata: lesioni vaginali. Non si possono chiudere gli occhi dinanzi a esempi così crudeli di esasperazione (le bambine vengono date in mogli, molto spesso perché la famiglia di origine non può permettersi di sfamarle ulteriormente) e di ignoranza. Centinaia di anni di lotte sociali per i diritti delle donne non possono e non devono riguardare solo una metà delle popolazioni che abitano questo pianeta.