Giornata della Donna

di Redazione

Roma. Giornata Internazionale della Donna

Intervento del Presidente Mattarella alla cerimonia della” Giornata Internazionale della Donna”

Un saluto al Presidente del Senato, alla Signora Presidente della Camera, alle Signore Ministre presenti, alle Signore Parlamentari presenti, a tutte le Autorità e a tutti i presenti, Signora Ministra Giannini, Signor Ministro Galletti.

Rivolgo un saluto a tutte le signore qui presenti così numerose e tutte le donne italiane, molte delle quali ci seguono in diretta televisiva. Sono, siete, milioni di professioniste, di docenti, di casalinghe, di lavoratrici dipendenti, di imprenditrici, di disoccupate, di madri, di nonne e di ragazze. Donne consapevoli, che badano all’essenziale e a ciò che è bello, spesso alla difficile ricerca di una compatibilità tra il lavoro e la famiglia.

Su di voi grava il peso maggiore della crisi economica.

A voi, una società non bene organizzata affida il compito, delicato e fondamentale, di provvedere in maniera prevalente all’educazione dei figli e alla cura degli anziani e dei portatori di invalidità.

Lo fate silenziosamente, a volte faticosamente.

Senza la donne, senza di voi, l’Italia sarebbe più povera e più ingiusta. Siete il volto prevalente della solidarietà. Il volto della coesione sociale.

Dovremmo ricordarlo costantemente. E non dovremmo smettere mai di ringraziarvi.

E dunque auguri. E’ la celebrazione delle donne. Ed è bene che, anche quest’anno, la cerimonia si svolga qui, al Quirinale.

L’anno scorso, alla presenza del Presidente Napolitano, il tema dell’8 marzo ha riguardato un argomento particolarmente doloroso: quello delle ferite che la violenza infligge sul corpo e sull’animo delle donne. L’edizione del 2015 è dedicata al rapporto speciale che esiste, fin dagli albori della civiltà umana, tra le donne, la natura e la Terra. Una terra che spesso è definita madre, capace cioè di generare vita.

Una terra che è minacciata da comportamenti che infliggono ferite, lacerazioni, mutilazioni, prodotte anzitutto da speculazione e avidità. Vi è, poi, il grande, e impetuoso, sviluppo economico che ha caratterizzato, negli ultimi decenni, anche Paesi finora esclusi dal benessere. La crescita globale è un obiettivo giusto e positivo, ma occorre governarne i contraccolpi sul piano della salvaguardia dell’ambiente.

I cambiamenti climatici, la deforestazione, l’inquinamento dei fiumi e dei laghi, la contaminazione del cibo, la scomparsa di specie animali e vegetali rischiano di sfigurare il volto del pianeta, ma anche di peggiorare, in modo drastico, la qualità della vita nostra, dei nostri figli e delle generazioni a venire.

In questa situazione, ancora una volta, il ruolo della donna risulta, insieme, coraggioso e determinante.

Recenti ricerche ci dicono che più della metà della produzione del cibo mondiale passa attraverso le mani sapienti delle donne. Nei Paesi in via di sviluppo questa percentuale arriva anche all’80 per cento. Le donne, soprattutto, conoscono l’importanza del cibo per la vita dell’uomo. Una consapevolezza del futuro – un’attitudine alla visione – ha spinto le donne, come ci ha appena ricordato il ministro Galletti, a lottare da sempre per la difesa dell’ambiente, per uno sviluppo compatibile, per valorizzare i prodotti della Terra, per il diritto al cibo, alla salute, alla biodiversità. Le donne sono più capaci di produrre senza distruggere, sanno costruire e innovare, tutelando e salvaguardando.

A metà degli anni Quaranta del secolo scorso, una donna americana, Rachel Carson, iniziava la sua battaglia contro l’abuso degli insetticidi. La sua lotta, osteggiata dagli industriali della chimica, criticata, persino derisa, dalla comunità scientifica, riuscì a far mettere al bando il ddt. Il suo libro del 1962, Primavera silenziosa, ha contribuito in maniera determinante alla nascita del movimento ambientalista nel mondo. In esso Rachel Carson scriveva, con profetica lungimiranza: «La natura ha impresso al paesaggio una molteplice varietà; ma l’uomo ha cercato, con tutto il suo zelo, di renderlo monotono; è così che egli ha distrutto il sistema di controlli e di equilibri grazie al quale la natura mantiene ogni specie entro i giusti limiti».

La bandiera della Carson, morta prematuramente nel 1964, è stata raccolta da tante donne. In ogni parte del mondo.
Ricordo in Italia le battaglie ambientaliste di Laura Conti, medico, partigiana e deputata, che si distinse particolarmente nel denunciare le responsabilità politiche e imprenditoriali dopo il disastro di Seveso.

Penso alla kenyana Wangari Maathai, premio Nobel per la pace, di cui abbiamo appena ascoltato un brano di grande impatto emotivo. A un’altra donna premio Nobel per la Pace, Rigoberta Menchù, paladina dei diritti dei campesinos guatemaltechi. E, ancora, all’indiana Vandana Shiva, ispiratrice del movimento democratico globale. Nel suo libro Il bene comune della terra scrive tra l’altro: «Le democrazie che tutelano la vita si fondano sul valore estrinseco di tutte le specie, di ogni popolo e di ogni cultura, sull’equa ripartizione delle risorse terrene e sulla comune gestione di tali risorse».

E sempre le donne sono protagoniste della rete “WeCan”, che riunisce scienziate, donne leader dei movimenti ambientalisti, artiste, ma anche insegnanti, contadine, operaie di tutto il pianeta. Il loro manifesto comincia così: “Siamo madri e nonne, sorelle e figlie, nipoti e zie che si preoccupano per le giovani generazioni”.

E il loro obiettivo è quello di cambiare il linguaggio quando si parla di ambiente e di natura: passando dalle parole «dominare, impoverire e distruggere» a quelle, più sagge e rassicuranti, di «risanare, rispettare, rigenerare».

Risanare, rispettare, rigenerare. Sono i criteri che hanno mosso le donne italiane che oggi qui premiamo, in rappresentanza di tantissime altre donne, impegnate nella ricerca, nella produzione agroalimentare, ispirata a criteri biologici, nel risanamento delle periferie urbane, nel miglioramento della qualità dell’aria, della terra, dell’acqua.

Non è casuale: oggi le donne – come ha detto poc’anzi il ministro Giannini – sono unanimemente riconosciute come promotrici di miglioramento del contesto ambientale che ci circonda, ma anche agenti di innovazione e di cambiamenti. Capaci di coniugare la tutela della natura e la sua trasformazione in risorsa occupazionale ed economica. WeCan mette anche in evidenza come in quei Paesi, dove è maggiore la presenza delle donne nei Parlamenti, cresce in modo significativo l’attitudine a produrre leggi, e a firmare trattati, di salvaguardia dell’ambiente.

La scarsa attenzione alla salvaguardia del territorio, l’abbandono dei campi, la mancata cura dei boschi, l’inquinamento, lo sfruttamento intensivo delle risorse ambientali producono danni incalcolabili in un contesto fragile come quello italiano. La mano dell’uomo è spesso alla base di dissesti, alluvioni, frane, che sono pericolosi per la vita dei cittadini e comportano un dispendio di energie e di risorse pubbliche.

Non si può continuare a gestire la questione ambientale con l’esclusiva ottica dell’emergenza. E in questo vi è grande impegno. Le donne, con la loro capacità di visione e sensibilità, ci insegnano che la prevenzione dei disastri ambientali è una cultura che va radicata all’interno della società, e delle istituzioni italiane, e che, nel medio e nel lungo periodo, salva vite, produce risparmi e genera ricchezza.

E – senza entrare nel merito – vorrei qui dare atto al Parlamento di aver compiuto un importante passo in avanti nella definizione del reato di disastro ambientale: un crimine grave finora sanzionato in misura inadeguata.

Permettetemi di chiudere questo mio breve intervento con un detto dei nativi americani Ojibwej:
«La donna è la radice sulla quale le nazioni sono costruite. Essa è il cuore della sua nazione.
Se il suo cuore è debole, il popolo sarà debole.
Se il suo cuore è forte e la sua mente limpida, allora la nazione sarà forte e determinata.
La donna è il centro di ogni cosa».

E con questa citazione, formulo ancora auguri a tutte voi e ai vostri cari!

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