Due anni di Francesco: il Papa dei poveri e delle rivoluzioni

di Gabriella Ronza

Quando il 13 marzo 2013, alle ore 18.50, fu declamato il celebre “Habemus papam” nessuno avrebbe potuto immaginare che quell’uomo canuto e con gli occhiali, primo Pontefice sudamericano, affacciato sulla piazza più celebre al mondo, si sarebbe rivelato in pochissimo tempo uno dei papi più rivoluzionari della storia della Chiesa.

Prima vescovo di Buenos Aires, poi cardinale, Jorge Mario Bergoglio, o per meglio dire “Papa Francesco”, in soli due anni è divenuto esempio di grande umiltà e simbolo dei valori positivi della fede cattolica.

Viaggia in auto normali, indossa scarpe coi lacci al posto della sacra pantofola, rifiuta di alloggiare nel palazzo apostolico, mangia alla mensa dei dipendenti, abbraccia i malati isolati dalla società, si cura delle guardie svizzere, denuncia i peccati della curia con fermezza e si sposterebbe ancora in metropolitana, come quando viveva in Argentina, se solo potesse.

È uomo ritenuto dotato di una grande intelligenza, amato immensamente dal popolo, ma secondo molti “odiato” dalle alte gerarchie ecclesiastiche per il suo “savoir faire”, il suo stile di semplice pastore e la sua preponderante caratteristica di atteggiarsi ad un prete come tutti gli altri. Disdegna aiutanti di camera, le procedure di vestizione, i servigi, Bergoglio fa ogni cosa da sé.

In due anni di pontificato rivoluziona tutto. È il Papa che viaggia, che si lascia andare anche ad espressioni colorite per farsi comprendere dai fedeli, che aiuta, che vede accanto alla soglia della sua camera un giovane svizzero, irrigidito sull’attenti, e dice: “Sei stato in piedi tutta la notte, figlio?”, rientra in camera e ne esce con una sedia. La guardia svizzera obietta che il regolamento vieta di sedersi, ma il Vicario di Cristo in terra lo rassicura.

È il Papa della famiglia, del rispetto, dell’amore, che cambia le regole del Vaticano e che lo illumina quotidianamente, non solo con le parole, ma anche con i gesti, sul volere di Dio. Perché se Dio è umiltà e povertà, Begoglio sembra prendere alla lettera il compito di suo “rappresentante” e si fa umile e, almeno nei suoi gesti personali e quotidiani, perfino povero. Elimina, quindi, tutti quegli incarichi atti a servire la sua persona come ad un re e rifiuta ogni forma di adulazione fine a se stessa.

Papa FrancescoTanti sono stati in questi due anni i temi cari al Pontefice: famiglia, matrimonio, ruolo della donna minori e etica. “Gli Stati – declama – dovrebbero vigilare affinché le proprie legislazioni nazionali sulle migrazioni, sulla delocalizzazione delle imprese e sulla commercializzazione di prodotti realizzati mediante lo sfruttamento del lavoro siano realmente rispettose della dignità della persona. Sono necessarie leggi giuste, incentrate sulla persona umana, che difendano i suoi diritti fondamentali e li ripristinino se violati”. O ancora: “È necessario che venga riconosciuto il ruolo della donna nella società, operando anche sul piano culturale e della comunicazione per ottenere i risultati sperati”.

Sulla vita cristiana, ha invece affermato, lo scorso Natale, che essa deve essere improntata alla gioia: “Mai un santo o una santa ha avuto faccia funebre. Sempre i santi hanno la faccia della gioia. O almeno, nelle sofferenze, la faccia della pace. Ricordiamo la sofferenza massima, il martirio di Gesù: Lui aveva quella faccia di pace e si preoccupava degli altri, della mamma, di Giovanni, del ladrone…”.

Le parole del Papa fanno eco: è rispettato in tutto il mondo, anche da molti capi di religioni diverse. Ogni cosa da lui proferita fa notizia, come quando ha detto ad un bambino triste per la morte del suo cagnolino che il paradiso è aperto a tutte le creature di Dio, un piccolo spunto di riflessione che ha mandato in visibilio le società animaliste che hanno visto in questo un superamento di quando insegna la teologia cattolica, ossia che gli animali non possono andare in Cielo perché non possiedono anima.

Oppure quando, dopo il tragico attentato ai danni di Charlie Hebdo, è inceppato in uno strafalcione mal interpretato dai media. Pur condannando assolutamente i terroristi, aveva affermato, in un’intervista sull’aereo da Colombo a Manila di ritorno dal suo intenso viaggio in Estremo Oriente: “la libertà religiosa e la libertà di espressione sono entrambe diritti umani fondamentali. Ognuno ha diritto di praticare la propria religione senza offendere. Non si può fare la guerra, uccidere in nome della propria religione, cioè in nome di Dio. Questa è un’aberrazione.  Ma se il dottor Gasbarri (responsabile dell’organizzazione dei viaggi del Papa, ndr.) che è un mio grande amico, dice una parolaccia contro la mia mamma gli aspetta un pugno. È normale. Non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri, non si può prendere in giro la religione degli altri”.

Mentre sulle minacce islamiche nei confronti della Santa Sede ha dichiarato: “Il miglior modo per rispondere alle minacce è la mitezza: essere mite e umile come il pane, senza fare aggressione. Purtroppo c’è gente che non capisce questo. A me preoccupa la sicurezza dei fedeli, davvero. Di questo ho parlato con i responsabili della sicurezza vaticana”.

È solo l’inizio, annunciano alcuni esperti e teologi, perché questo papa che si presentò con un semplice “buonasera” nel giorno dell’annunciazione della ricevuta carica, è destinato a cambiare le sorti della chiesa come struttura, ma anche e soprattutto nel senso più ampio dei veri e propri dogmi della fede.

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