Milano – “In questa ora di pena ci accompagni una fede forte, una speranza certa”, ha detto dall’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, durante l’omelia dei funerali di Stato del giudice Fernando Ciampi e dell’avvocato Lorenzo Alberto Claris Appiani, uccisi giovedì 9 aprile in tribunale da Claudio Giardiello, imputato per bancarotta fraudolenta.
Un Duomo gremito di autorità, parenti, amici e familiari delle vittime. Sopra le bare appoggiate le toghe, quelle che il magistrato e il legale indossavano durante la loro attività nelle aule di giustizia.
I familiari, dopo aver incontrato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella cripta del Duomo, sono andati verso il portone principale per accogliere i feretri e accompagnarli fino all’altare, per la celebrazione. Durante l’incontro con Mattarella sono state pronunciate nei confronti dei genitori e della sorella del giovane avvocato e della moglie, del fratello e del figlio del magistrato, tra abbracci e strette di mano calorosi, parole di cordoglio definite “intense”.
Bandiere a mezz’asta a Milano per il lutto cittadino: il sindaco Giuliano Pisapia ha invitato tutti i cittadini a osservare un minuto di silenzio in ricordo delle vittime.
“Una sconvolgente circostanza ci ha convocati in questo Duomo, in qualche modo come rappresentanti di tutti i milanesi e non solo. Il nostro cuore è ancora colmo di angoscia per l’orrore di tre brutali omicidi e di due ferimenti”, questa l’apertura dell’omelia dell’arcivescovo. “Quasi impossibile trovare le parole per i familiari e gli amici” delle vittime: “Questa tragedia ci lascia ancora più sconcertati perché si è consumata in un luogo emblematico, un pilastro costitutivo della vita civile del Paese”.
Scola ha definito la sparatoria “una tremenda espressione di un male inaccettabile”. “Come porvi rimedio? Come stare di fronte alle bare di questi nostri fratelli a cui la vita è stata rubata in modo tanto atroce e sconvolgente?”, ha chiesto Scola ai fedeli in Duomo. “L’amore può vincere realmente la morte, anche questa orribile morte, ce lo insegnano i familiari delle vittime”, ha proseguito Scola, citando il libro della Sapienza (“Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio”).
Il giudice e l’avvocato sono stati “testimoni giusti, perché quotidiani e discreti servitori del bene comune”. “Possiamo fermarci alla comprensibile paura e angoscia, alla giusta ricerca di elaborazione di più rigorosi sistemi di sicurezza, a dialettica, talora strumentali, tra le parti? Se la morte chiede di essere abbracciata dall’amore non abbiamo forse bisogno di fare di questo amore una sorgente di amicizia civica, un incisivo criterio di edificazione di Milano e delle terre lombarde, in profonda trasformazione?”, ha chiesto Scola.
Secondo l’arcivescovo “non è questo un compito da riservare solo a quanti hanno responsabilità istituzionali. È qualche cosa che, come ci insegnano, in addolorata dignità i familiari delle vittime deve cominciare dal profondo di ogni uomo e di ogni donna della nostra metropoli. Da queste morti – ha proseguito – deve nascere una maggiore responsabilità di educazione civica, morale, religiosa, instancabilmente perseguita da tutte le agenzie educative, dalla famiglia, alla scuola fino alle istituzioni. Non lasciamo che sulle figure di questi nostri cari si stenda la coltre soffocante dell’oblio. Mantenere desta la loro memoria è garanzia di fecondità”.
L’arcivescovo ha poi rivolto poi “con travaglio” “un pensiero all’assassino. Le vittime innocenti di questo sciagurato pluriomicida ci chiedono almeno di pregare perché Claudio Giardiello attraverso la giusta pena espiatoria, prenda consapevolezza del terribile male che ha compiuto fino a chiederne perdono a Dio e agli uomini che ha così brutalmente colpito”.