Gaza – “Per fare questa cosa ci vorrà un secolo”, tipica espressione popolare per indicare che una certa cosa sarà ultimata in un lasso di tempo molto esteso, ma per quanto riguarda la ricostruzione di Gaza quest’espressione è tutt’altro che un detto o un iperbole (un’esagerazione).
A causa del blocco israeliano, i lavori volti a garantire un tetto e l’accesso ai servizi essenziali all’interno della Striscia durerebbero all’incirca un secolo.
È questo l’allarme lanciato da alcune ong. A otto mesi dal cessate il fuoco che ha messo fine all’operazione Protective Edge, si presenta una situazione disperata in cui ancora versano un milione e 800mila persone. A farne le spese, ovviamente, è la fascia più debole: bambini, donne e anziani costretti a “sopravvivere”, perché è dura chiamarla vera e propria “vita”, in rifugi e sistemazioni temporanee.
A Gaza, infatti, arriva meno dello 0,25% (stime che riguardano i mesi di dicembre, gennaio e febbraio) del materiale da costruzione essenziale e quindi la ricostruzione è sostanzialmente ferma. Alla luce di ciò Oxfam (confederazione per gli aiuti umanitari) chiede alla comunità internazionale di attivarsi con urgenza, per mettere fine al blocco di Gaza, che ormai dura da quasi 8 anni.
Secondo le stime, infatti, sarebbero necessari oltre 800mila carichi di camion di materiale da costruzione per rimettere in piedi case, scuole, ospedali e altre infrastrutture distrutte durante i ripetuti conflitti e gli anni di blocco.
Per Umiliana Grifoni, responsabile Ufficio Mediterraneo e Medioriente di Oxfam Italia, “è inaccettabile che la comunità internazionale abbandoni la popolazione di Gaza nel momento di maggior bisogno”.
La situazione, assurda se continua di questo passo, porterebbe un’intera popolazione ad abitare per cento anni in città fantasma mai ricostruite e piene di macerie.
Milioni di persone si spegnerebbero senza aver mai visto il proprio stato “risorgere” da una guerra sconosciuta che, magari, in quanto piccoli o non ancora nati, non hanno neanche vissuto.