Udine – Le Fiamme Gialle della Tenenza di Tarcento (Udine) hanno scoperto una società, riconducibile a due coniugi friulani, che operava commercialmente in un mercato “parallelo” di polizze assicurative automobilistiche “di comodo” (riconducibili a società di assicurazione estere polacche, francesi, lussemburghesi), prive dei requisiti di legge per operare nel mercato italiano.
Ricostruita l’avvenuta vendita di 3.274 contrassegni assicurativi a favore di altrettanti cittadini residenti sul territorio nazionale sostanzialmente inefficaci. Infatti, seppur di costo inferiore, tali prodotti non garantivano agli acquirenti, in caso di sinistro, alcuna copertura assicurativa Rca per i danni arrecati o subiti.
Nel corso delle perquisizioni è stato anche accertato che molti certificati assicurativi venivano addirittura stampati “autonomamente” dagli indagati. Anche l’Autorità nazionale di vigilanza sulle assicurazioni (Ivass) ha emesso, nel tempo, specifici comunicati al pubblico per segnalare la presenza nel mercato di queste “polizze” al fine di tutelare ulteriori acquirenti inconsapevoli.
Le indagini, poi, hanno permesso di accertare che i due soci dell’azienda indagata (che non dichiaravano alcun reddito), nonché la società stessa, erano intestatari, presso gli uffici della Motorizzazione e Pubblico registro automobilistico nazionali, di ben 760 autoveicoli, molti dei quali di note marche automobilistiche; inoltre 201 di queste autovetture erano state rivendute all’estero (principalmente in paesi dell’Europa dell’est), senza osservare le disposizioni di legge (previste dall’articolo 103 del Codice della Strada) che stabiliscono l’obbligo di preventiva comunicazione all’ufficio della Motorizzazione Civile dell’esportazione e della radiazione del mezzo (con restituzione della targa).
Queste autovetture “fantasma” entravano in un limbo in cui per le Autorità di controllo italiane (Motorizzazione civile e Pra) erano ancora intestate (con le relative targhe) ad ormai inesistenti “proprietari” italiani, mentre in realtà i mezzi circolavano in paesi stranieri, dove i nuovi acquirenti potevano eludere qualsivoglia controllo; alcuni di questi mezzi erano stati, prima della loro vendita, oggetto di provvedimenti di “fermo amministrativo” da parte dell’amministrazione finanziaria italiana per debiti con l’erario dei precedenti proprietari.
Inoltre, le approfondite indagini bancarie svolte, hanno consentito di scoprire che, al fine di impedire la ricostruzione del reale “giro d’affari”, i pagamenti erano posti in essere tramite: la sistematica esecuzione di transazioni in “contanti” (nel corso della perquisizione effettuata presso l’abitazione di uno degli indagati è stata rinvenuta una somma di 64.500 euro in banconote da tagli da 500, 200 e 100 euro); sono state anche contestate violazioni amministrative alla normativa antiriciclaggio per l’esecuzione di pagamenti con denaro liquido sopra “soglia” legale; l’utilizzo di carte di pagamento cosiddette “ricaricabili” che, pur presentando caratteristiche e funzionalità di un bancomat, non richiedono la presenza di un conto corrente di appoggio, ma esclusivamente la costituzione, attraverso versamenti in contanti o bonifici, delle disponibilità finanziarie necessarie a operare. In una di queste (una “postepay” intestata a un indagato,) sono state rilevate movimentazioni finanziarie per ben 1 milione e 466mila di euro.
Accertato, tra l’altro, come uno degli indagati non presentava alcuna dichiarazione dei redditi, in quanto aveva dichiarato a un comune friulano una fittizia residenza Aire in Slovenia, pur essendo, “de facto”, domiciliato nella provincia di Udine dove conduceva stabilmente le sue attività commerciali.
A conclusione degli accertamenti sono stati individuati redditi non dichiarati per 2 milioni e 276mila euro e l’omesso versamento per la tassa di circolazione degli autoveicoli per circa 63mila euro.