Il “racket delle cozze” a Taranto, 13 arresti

di Redazione

I carabinieri del Nucleo investigativo di Taranto e la Guardia Costiera hanno dato esecuzione, nel capoluogo ionico ed in provincia, a 13 provvedimenti cautelari, di cui cinque in carcere e otto agli arresti domiciliari, emessi dal gip Giuseppe Tommasino, su richiesta del sostituto procuratore Giovanna Cannarile.

Le 13 persone colpite dai provvedimenti cautelari sono accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata all’estorsione ed al furto aggravato a carico di impianti di mitilicoltura del Mar Grande e Mar Piccolo di Taranto; minacce aggravate nei confronti di operatori del settore, che come noto è parte caratterizzante dell’economia tarantina; ricettazione ed immissione in commercio di prodotti ittici nocivi per la salute.

Il sodalizio disarticolato, secondo gli investigatori, era promosso e capeggiato dai fratelli tarantini Damiano e Giovanni Ranieri, rispettivamente di 50 e 36 anni, ed era composto dagli stessi e da Nicola Blasi, 32enne tarantino, e dal padre di lui, Cosimo, di 50 anni, che collaboravano nella riscossione.

Un terzo fratello dei Ranieri, Massimo, 41enne, è stato invece colpito da autonoma ordinanza cautelare in carcere in quanto a lui viene contestata la minaccia aggravata nei confronti di un operatore ittico che si era reso artefice di un tentativo di affrancarsi con i propri colleghi dal giogo estorsivo, promuovendo un servizio di guardiania sugli impianti di coltivazione.

Gli otto soggetti sottoposti agli arresti domiciliari, tutti tarantini, sono invece accusati di essersi approvvigionati di frutti di mare dal sodalizio, per poi rivenderli, in assenza delle procedure a tutela della salubrità degli alimenti.

Le indagini, avviate a maggio 2014 e protrattesi fino a febbraio 2016, hanno consentito di disarticolare un’associazione per delinquere dedita all’estorsione in danno di miticoltori che imponeva servizi di “guardiania”, non autorizzati, peraltro in realtà mai attuati, come ben noto alle vittime, dietro il corrispettivo di danaro elargito dai mitilicoltori che, in caso di rifiuto, venivano “puniti” con il furto di ingenti quantitativi di prodotto ed il danneggiamento degli impianti ed attrezzature. Il vero paradosso è però che anche chi si assoggettava al pagamento, non sempre era al riparo dalle attenzioni negative del gruppo, che nottetempo rubava i mitili per soddisfare richieste di merce da parte di commercianti ben consapevoli di acquistare cozze di provenienza furtiva a prezzi assai convenienti.

La riscossione del “pizzo”, come appurato dagli inquirenti durante complessi e gravosi servizi di foto-videoripresa, eseguiti con potenti teleobiettivi, anche a bordo di piccole imbarcazioni da pesca ed in abiti civili, oltre che con autorizzate attività tecniche telefoniche ed ambientali, avveniva solitamente di sabato, giorno in cui i mitilicoltori avevano maggiore disponibilità di danaro per la vendita di maggiori quantitativi di prodotto.

I due Ranieri, fanno sapere gli inquirenti, avevano suddiviso le zone di competenza, dando corpo ad un controllo tentacolare dei due Mari di Taranto, da cui il nome dell’operazione “Piovra”. Damiano, in atto detenuto per altra causa a Vibo Valentia ed all’epoca dell’indagine sottoposto alla misura alternativa dell’affidamento in prova in comunità in una struttura di Martina Franca, commetteva i reati nel Mar Piccolo, durante permessi mensili della durata di 10 giorni, che faceva decorrere proprio di sabato, riscuotendo il danaro dagli imprenditori, che avvicinava in mare a bordo di una barca a motore.

Nelle giornate in cui era tenuto a permanere in comunità, la riscossione veniva delegata a Nicola Blasi, spesso accompagnato dal padre Cosimo. Giovanni Ranieri, invece, si occupava dei miticoltori di Mar Grande. La consegna del denaro in suo favore avveniva con cadenza variabile, anche più volte a settimana, attraverso una rete che divide un’area demaniale da una struttura privata sita a San Vito, frazione di Taranto.

Massimo Ranieri, come detto destinatario di autonoma ordinanza cautelare per fatti connessi, sebbene sorvegliato speciale con obbligo di dimora a Statte, viene invece accusato di aver minacciato un operatore mitilicolo che a febbraio 2016 ha avuto il coraggio di denunciare di essere stato intimorito dallo stesso, che rivendicava l’esclusiva dell’attività di guardiania.

Il mitilicoltore, infatti, esasperato dall’ingente danno prodotto dai furti alla sua famiglia – quantificato in circa 200mila euro negli ultimi anni – aveva organizzato, con altri soci della sua cooperativa, un servizio di guardiania delle rispettive concessioni.

La denuncia costituisce l’unico, seppur rilevantissimo contributo fornito dalle parti offese al buon andamento dell’indagine. Molte vittime, infatti, sebbene interrogate dagli inquirenti, si sono limitate ad ammettere di aver subito furti, solo alcuni dei quali denunciati, astenendosi dal riferire i propri convincimenti sulla riconducibilità degli stessi al sodalizio capeggiato dai Ranieri, talora in aperto contrasto con quanto invece emerso, a riprova della accettazione fisiologica di questo paradossale “servizio” di guardiania, da anni appannaggio della famiglia Ranieri.

Proprio la reticenza ad ammettere anche fatti notori ha consentito agli inquirenti di accreditare la capacità di intimidazione posta in essere dal gruppo criminale, chiaramente confermata dalla circostanza che lo stesso non solo riusciva ad imporre pagamenti per un servizio di guardiania mai reso, ma si dedicava a derubare le stesse persone che formalmente avrebbe dovuto “proteggere”.

Il secondo rilevante filone dell’indagine è quello inerente alla destinazione dei prodotti oggetto dei furti. Come accertato durante i servizi di osservazione dei militari, infatti, per evitare di far risalire ai proprietari della merce, ciascuno dei quali racchiude le cozze in reti di colore diverso, per garantirne la tracciabilità, gli esecutori dei furti “sgranavano” i mitili direttamente in mare, e li riponevano all’interno di sacchetti della capacità di circa 10 chili pronti per la vendita.

In questo modo, prodotti mai sottoposti a depurazione e quindi rischiosi per la salute, finivano nella disponibilità degli ignari consumatori, che li acquistavano dai titolari di banchi di vendita o di regolari esercizi commerciali o li consumavano in strutture di ristorazione, in totale assenza di certificazione e documentazione sanitaria, di qualità, nonché fiscale.

La circostanza è ancor più grave, se solo si pensa che, mentre il prodotto proveniente dal Mar Grande è commercializzabile senza trattamenti depurativi, quello del Secondo Seno di Mar Piccolo necessita di transitare da un centro di “stabulazione” per l’abbattimento della carica batterica. Gli inquirenti hanno appurato che la lavorazione delle cozze avveniva in luoghi fatiscenti, spesso container dismessi, da parte di persone prive delle necessarie qualifiche e quindi in modo pericoloso.

Oltre agli 8 commercianti arrestati, sono stati denunciati a piede libero un sommozzatore che raccoglieva datteri di mare, deturpando il fondale marino e 9 acquirenti del predetto frutto di mare, come noto, di vietata pesca.

Nel corso dell’attività investigativa, sono stati poi sequestrati circa un quintale di cozze nere prive di certificazione sanitaria e fiscale di accompagnamento e 7 chili di datteri di mare.

Contestualmente all’esecuzione delle misure personali, il gip, accogliendo le richieste degli inquirenti, ha disposto anche il sequestro preventivo di quattro imbarcazioni con i relativi motori in uso al gruppo dedito alle estorsioni, nonché di un box di un mercato rionale di Taranto gestito da due degli otto commercianti ittici arrestati, che si rifornivano abitualmente dallo stesso.

All’operazione “Piovra” hanno partecipato circa 80 uomini dell’Arma provinciale e della Guardia Costiera di Taranto e Bari, supportati da tre mezzi nautici della Guardia Costiera, una motovedetta, un elicottero e unità cinofile dei Carabinieri e dal Nas ionico.

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