Assolto dall’accusa di bancarotta fraudolenta l’allenatore dell’Inter, Roberto Mancini, in quanto secondo il gup di Roma, il fatto non costituisce reato. Nell’ambito dello stesso reato, è stato rinviato a giudizio il costruttore Marco Mezzaroma. E dire che la Procura aveva richiesto per lo sportivo una condanna a tre anni con rito abbreviato, così come aveva chiesto lui stesso di essere giudicato.
Al tecnico nero azzurro era stato contestato un buco di oltre un milione di euro, che provocò il fallimento della Img Costruzioni dichiarato dalla sezione fallimentare del Tribunale civile il 24 gennaio del 2013. Per la stessa vicenda finì sotto processo anche l’immobiliarista Marco Mezzaroma, in passato sposato con la deputata di Forza Italia ed ex ministra delle Pari opportunità, Mara Carfagna.
Al momento della lettura del provvedimento Mancini era assente dall’aula, anche se successivamente ha fatto sapere: “Sono contento. Sono stato sempre fiducioso nella giustizia. La sentenza di piena assoluzione mi restituisce serenità e tranquillità. Ringrazio i miei legali, il professor Carlo Longari e l’avvocato Silvia Fortini che mi hanno sempre supportato con grande professionalità”.
Il fatto che sia stato assolto perché il l’accusa non costituisce reato – ha spiegato l’avvocato Longari – significa che non era a conoscenza dell’operazione ritenuta illecita dalla Procura”. È stato invece condannato a tre anni di reclusione invece l’uomo considerato il dominus dell’operazione, l’avvocato Stefano Gagliardi, fino al 2009 il legale di Mancini, nonché testimone di nozze al matrimonio dell’allora fantasista della Sampdoria quando accompagnò verso l’altare la ormai ex moglie del coach dell’Inter.
Al processo, che inizierà il 15 novembre prossimo davanti ai giudici della IX sezione, oltre a Mezzaroma comparirà anche Umberto Lorenzini, che in passato ha svolto il ruolo di amministratore delegato in una delle società immobiliari appartenenti alla galassia degli interessi extracalcistici dell’allenatore. Dalla ricostruzione dell’accusa, il ruolo svolto da Mancini e Mezzaroma nel fallimento della Img sarebbe stato indiretto poiché entrambi gli imputati non hanno nessuna quota della società, essendo entrambi soci della Mastro, azienda specializzata nel campo delle costruzioni.
L’anello di congiunzione degli imputati al dissesto era rappresentato dalla serie di assegni bancari provenienti dalla Img, in un secondo tempo negoziati da persone riconducibili o a Mancini o a Mezzaroma. Il buco di bilancio che avrebbe comportato il fallimento dell’azienda sarebbe avvenuto nel triennio 2006 – 2009, periodo durante il quale il denaro sarebbe stato distratto in diverse tranche dai bilanci della Img attraverso un giro di fatturazioni nate da operazioni fittizie.
Ad appesantire in modo indiretto la posizione del mister c’era anche il rinvio a giudizio di Marco Spendolini, Paolo Togni e Frediano Gigli – tutti nati a Jesi città natale dell’ex fantasista – ritenuti responsabili di aver riciclato presso la filiale di Jesi della Banca Popolare di Ancona sei assegni dal valore di 72 mila euro provenienti dalla Img. Una manovra, secondo la Procura, finalizzata a ostacolare la provenienza dei titoli di credito, riconducibili all’allenatore dell’Inter. In particolare a occuparsi dell’operazione sarebbe stato Spendolini – legato da un rapporto di amicizia a Mancini – ritenuto dalla procura il “materiale esecutore delle operazioni bancarie” del tecnico. L’uomo si sarebbe recato presso la filiale di Jesi per la negoziazione degli assegni affidata ai funzionari Togni e Gigli. Anche loro rischiano il rinvio a giudizio.