67 anni di età che hanno, però, permesso a Bruce Springsteen di dare il meglio di se sul palco del San Siro, con 4 ore e mezzo di concerto. Tutto come quella prima volta di 31 anni e come le 6 precedenti performance live che lo legano all’Italia.
Il boss è tornato ad infiammare il pubblico italiano, dando un’anticipazione di quello che sarà lo spettacolo preparato per il 16 luglio a Roma.
Bruce Springsteen e la E Street Band si sono presentati fra i boati come tre anni fa con “Land of Hope and Dreams” per passare poi a “The Ties That Bind”, tratta da “The River”, storico doppio disco del 1980 che dà nome al tour. Se pure la scaletta non presenta tutte e 20 le tracce di quell’album ma solo 14 (mai così tante in nessuna delle date europee), il concerto è un tributo a un’energia rock inesauribile che non abbandona l’artista del New Jersey: fra fuori programma, richieste dei fan e classici della sua firma cantautorale in equilibrio tra epica e malinconia, lo show sembra un’iniezione di elettricità ancora più minimale e potente vista la formazione che ai fiati conta solo il sax di Jake Clemons. In questo senso Springsteen è un libro aperto per il suo pubblico: “Questa è la mia prima canzone ispirata ai figli”, dice in italiano introducendo “Independence Day”, a poche ore dal vero e proprio giorno dell’indipendenza americana. La generosità del performer si vede non solo nel momento in cui corre in mezzo al parterre sulle note di “Hungry Heart” ma quando verso la fine dello show su “Dancing in the Dark” invita quattro spettatori a cantare, ballare e suonare con la band.
E allora la scelta dell’artista di premiare i primi arrivati alle 17 con un soundcheck di “Growin’ Up” sembra il messaggio a una platea che cresce con il suo idolo. Bruce Springsteen a San Siro è un evento epocale che richiama tutti, dal fan comune a Zucchero e Ligabue, anche loro presenti alla corte del boss.
Lo stadio si fa vedere anche sulle note di “The River”, illuminandosi con i flash dei telefonini: ma il vero spettacolo è la sequenza di canzoni, successi irrinunciabili come “Born In The U.S.A.”, “Born To Run” per le quali i riflettori illuminano lo stadio a giorno, brani che toccano nel profondo come “Drive All Night”, e scariche elettriche come la finale “Shout” portata avanti fino allo stremo delle forze prima dei saluti. «Questo è un posto molto speciale per noi, con il migliore pubblico», dice il Boss prima di chiudere con una versione acustica di “Thunder Road”. Uno spettacolo che non si replicherà , ma piuttosto verrà reinventato da capo il 5, di nuovo a San Siro, e il 16 luglio al Circo Massimo nell’ambito di “Rock in Roma”.