Riciclaggio, sequestri per 10 milioni tra Italia e Svizzera

di Redazione

L’operazione “Pecunia Olet” ha consentito di ricostruire minuziosamente l’attività di “pulizia di denaro sporco” (denaro proveniente da reati tributari e fallimentari commessi da un gruppo criminale) e di procedere al sequestro, tra Italia e Svizzera, di beni e liquidità per un ammontare di circa 10 milioni di euro.

L’associazione per delinquere era già stata disarticolata nel 2014, allorquando nell’ambito dell’operazione denominata “Mercato Libero”, coordinata dalla Procura della Repubblica di Brescia, erano stati tratti in arresto nove persone, alcune ritenute contigue a cosche della ‘ndrangheta calabrese.

Nonostante gli intervenuti arresti, i militari della Guardia di Finanza del Nucleo di Polizia tributaria di Brescia, unitamente al personale della squadra mobile della Polizia di Stato di Brescia hanno continuato l’indagine, riuscendo ad individuare la destinazione finale dei flussi finanziari oggetto dell’attività di riciclaggio attraverso specifici accertamenti bancari sviluppatisi sul territorio nazionale e all’estero per il tramite di attività rogatoriali.

Tali sviluppi investigativi, coordinati dalla Procura di Bergamo, hanno dato origine all’operazione “Pecunia Olet”, così denominata in quanto il denaro trasferito lasciava, nei vari passaggi, il proprio “odore”, la propria “scia”.

Gli indagati, probabilmente confidando nel famoso “segreto bancario” svizzero e sanmarinese (ormai venuto meno) e nell’utilizzo di società offshore, si sentivano al riparo da qualsiasi eventuale provvedimento della giustizia italiana.

Più nel dettaglio, l’attività di riciclaggio era governata da una donna di origine bergamasca, di anni 41, imprenditrice operante nel settore dell’edilizia e attualmente residente in Svizzera.

La citata imprenditrice, con l’ausilio dei propri familiari, aveva provveduto a “svuotare” le società edili (società gestite dal sodalizio criminale e intestate a prestanomi) delle risorse finanziarie attraverso trasferimenti bancari da conti italiani, verso conti svizzeri, sanmarinesi e di Singapore.

Tali conti esteri erano intestati a società offshore (scatole vuote formalmente aventi sede a Panama, British Virgin Islands, Marshall Islands) gestite a loro volta da società fiduciarie svizzere. Dietro i predetti schermi vi erano gli indagati, quali titolari effettivi delle operazioni e dei rapporti finanziari.

La mela stilizzata è spiegabile come segue: il fiduciario elvetico parlando telefonicamente con gli indagati italiani delle movimentazioni di denaro “da ripulire”, utilizzava l’espressione criptica “magazzino di mele”, per indicare i conti correnti svizzeri, destinazione ultima del riciclaggio.

I finanzieri, quindi, hanno proceduto al sequestro di immobili e quote societarie sul territorio nazionale. Contestualmente, il Tribunale Federale di Berna, su richiesta rogatoriale inoltrata dall’autorità giudiziaria bergamasca, ha dato esecuzione a due provvedimenti di sequestro per equivalente e “sproporzione”, emessi dal Tribunale di Bergamo, per alcuni milioni di euro.

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