Casal di Principe – “Perché lo Stato non vuole tutelare i familiari delle vittime di camorra, mentre tutela i collaboratori di giustizia che si sono macchiati di crimini orrendi?”. A chiederselo sono i parenti di numerose vittime innocenti del clan dei Casalesi che oggi, a Casal di Principe (Caserta), hanno convocato una conferenza stampa a Casa Don Diana, bene confiscato alla camorra intitolato al prete ucciso nel 1994 dal killer del clan Peppe Quadrano mentre era nella sacrestia della chiesa di San Nicola.
Tra loro anche la sorella di Genovese Pagliuca, il 21enne di Teverola ucciso nel 1995 da Giuseppe Setola su ordine dell’amante del boss Francesco Bidognetti, Angela Barra, che si era invaghita della fidanzata della vittima. Nel giorno in cui è stato smantellato ciò che è rimasto del clan Bidognetti i familiari delle vittime di quello stesso clan, raccontano le proprie storie, puntano il dito contro lo Stato Ministero dell’Interno e Prefettura in primis, e difendono l’operato di magistratura e forze dell’ordine.
L’avvocato Gianni Zara, che assiste molti dei familiari, sottolinea che il Viminale “ha tagliato i fondi per le vittime e fornisce, della legge 302 del 1990 sui requisiti per avere lo status di vittime della criminalità, un’interpretazione che lascia molti dubbi, negando il riconoscimento nonostante le sentenze parlino di vittime innocenti, e creando situazioni ingiuste e aberranti. Da oggi inizia la nostra battaglia per modificare la normativa, magari chiedendo distinguendo caso per caso”.
Nel mirino finiscono alcune norme previste della legge 302: in particolare l’articolo 1 comma 2, che ammette il riconoscimento per quelle vittime del tutto estranee ad ambienti e rapporti delinquenziali. Alcune vittime non sono state riconosciute perché, nonostante le sentenze a loro favore, c’erano informative delle forze dell’ordine che parlavano di incontri tra le stesse e qualche persona sospetta.
“Un’informativa vale di più di una sentenza definitiva”, dice l’avvocato Zara. E’ il caso di Genovese Pagliuca, che fu visto prima di essere ucciso in una gelateria insieme ad un ragazzo incensurato che però era ritenuto vicino ai Casalesi. “Perché mio fratello non viene riconosciuto?”, si chiede in lacrime Giovanna Pagliuca, “fu ucciso per vendetta perché era fidanzato con un ragazza che l’amante del boss Bidognetti voleva a tutti i costi; fu vittima innocente e lo dice anche la sentenza definitiva. Tra l’altro la fidanzata fu sequestrata per un mese, violentata e torturata con le siringhe di latte”.
Giuseppe Coviello, fratello di Antonio, ucciso nel 1992 insieme al parente Pasquale Pagano, in quanto i due furono scambiati per i veri bersagli dei killer, ovvero i camorristi Domenico Frascogna e Alfredo Zara, è invece “vittima” dell’altra norma contestata, ovvero l’articolo 2-quinquies delle legge 302 introdotto dalla riforma del 2008 (legge 151), che esclude il riconoscimento nel caso in cui il beneficiario risulti coniuge, parente o affine entro il quarto grado di soggetto nei cui confronti è in corso un procedimento penale per reati di camorra. Ebbene, Coviello e Pagano avevano un cugino camorrista che si è poi pentito. “E’ assurdo – dice Coviello – che lo Stato accetti i collaboratori, pagandoli anche, ed escluda i familiari delle vittime accertate, che peraltro non hanno mai avuto legami, se non una parentela lontana, con i clan”.
C’è poi il caso del bimbo ucciso a 10 anni, Giuseppe Dell’Aversano, per un proiettile vagante dopo aver fatto la “Prima Comunione” che non è stato riconosciuto come vittima perché anni dopo il suo assassinio i cugini sono entrati a far parte del clan, o quello del medico di Francesco Bidognetti, Gennaro Falco, ucciso dal clan perché non riuscì a salvare la moglie del boss dal cancro; per i giudici fu un delitto fatto per vendetta, e non legato alle dinamiche della cosca.
Il sindaco di Casal di Principe Renato Natale ha chiesto che “lo Stato faccia il proprio dovere per queste persone”. Gianni Solino, referente di Libera Caserta, ha affermato di provare “una vergogna incredibile per aver costretto queste persone a venire in conferenza. Ma era l’unico modo per far parlare della situazione assurda che stanno vivendo”. Valerio Taglione, coordinatore del comitato don Diana, dice che è “paradossale che lo Stato non stia vicino a queste persone che hanno sofferto. Noi continueremo a farlo”.