Berlinale 2017, Orso d’Oro all’Ungheria. Polemica del finlandese Kaurismaki

di Gaetano Bencivenga

Si è conclusa con una polemica, tra il serio e il faceto, del cineasta finlandese Aki Kaurismaki, autore abbonato a varie rassegne internazionali, la 67esima edizione del Festival del Cinema di Berlino. La sorprendente vittoria di “On Body and Soul” diretto dalla regista ungherese Ildikò Enyedi è stata, perciò, messa in secondo piano dalla reazione, evidentemente sopra le righe, di Kaurismaki, che un Orso d’argento se l’è portato a casa, quello, comunque prestigioso, per la regia, ma che evidentemente non ha condiviso le scelte operate dai giurati capeggiati dal collega olandese Paul Verehoven.

Appena annunciato il suo nome, l’autore dell’apprezzato “The Other Side of Hope”, pellicola sul dramma degli immigrati e inno all’umana accoglienza, si è rifiutato di andare sul palco per riceverlo, mostrando un poco elegante dito medio, usando, poi, il trofeo, consegnato “a domicilio”, quale ironico microfono per ringraziare i “le signore e i signori” della giuria.

Al di là del siparietto, non proprio edificante, quest’anno ha trionfato, una volta tanto, la poesia grazie a un lungometraggio lirico e romantico su una storia d’amore vissuta solo in sogno, che riporta sul gradino più alto del podio berlinese una regista ungherese a ben quarantadue anni dalla vittoria della magistrale Marta Mészàros. Gran Premio della Giuria al francese, di evidente origine senegalese, Alain Gomis, che con l’intenso “Felicité” narra le durezze dell’esistenza quotidiana nella tumultuosa Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo. Migliori interpreti, forse ingiustamente, la sudcoreana Kim Minhee per “On the Beach at Night Alone” di Hong Sangsoo e il tedesco Georg Friedrich per “Helle Nachte” di Thomas Arslan.

Al cileno “Una mujer fantastica” è andato il riconoscimento per la sceneggiatura, anche se suona come una sorta di ricompensa per il mancato alloro all’eccezionale protagonista, la transgender Daniela Vega, che avrebbe, invece, meritato l’Orso per l’attrice protagonista.

Il trofeo per il contributo tecnico è stato assegnato al romeno “Ana, mon amour” di Calin Peter Netzer, già vincitore del massimo riconoscimento cinque anni orsono e, quindi a detta di molti, penalizzato in sede di assegnazione dell’Orso d’Oro.

La quasi settantenne Agniezka Holland ha conquistato un bellissimo riconoscimento dedicato alla migliore speranza per il cinema del futuro, come a dire che l’età è solo un fatto anagrafico e nulla più.

L’Italia, trionfatrice lo scorso anno grazie al documentario, in odore di Academy Award, “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi, non presentava titoli in competizione ma si è consolata con il riconoscimento alla carriera destinato all’immensa costumista Milena Canonero, più volte vincitrice del premio Oscar.

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