“Terra dei fuochi” da non dimenticare, D’Anna: “Se ne dovrebbe parlare tutti i giorni”

di Gabriella Ronza

“La Terra dei fuochi”, un argomento che fa tremare ancora la Campania, un tempo Felix, e l’Italia intera, ma un tremore che si dimentica nella composizione chimica di una breve lacrima di commozione e che dovrebbe, invece, perdersi in quella dell’acqua del nostro corpo e restare sempre con noi.

“Se ne dovrebbe parlare tutti i giorni”, afferma determinato Antonino D’Anna, vaticanista per ItaliaOggi, giornalista per affaritaliani.it, concorrente del Sole 24, collaboratore di Formiche.net., ex collaboratore di Avvenire e, ora, anche presentatore di un programma radiofonico su piattaforma “Speaker” dal nome spumeggiante di Aria fritta. È mentre indossa quest’ultima veste che oggi gli parliamo.

Reduce di una puntata del radioshow, datata 7 marzo, proprio sul tema della “Terra dei fuochi”, Antonino ha voluto discuterne perché, come dice “di certe cose è sempre il momento buono per parlare” e poi perché la puntata ha visto come ospite Pino Ciociola, inviato speciale di Avvenire e premio giornalistico Dino Buzzati 2002, che ha assunto, per l’occasione, il ruolo di “testimone” oltre che di attivista e giornalista.

Quando chiediamo a D’Anna che cos’è la “Terra dei fuochi”, il presentatore ci dà due risposte, una tecnica: “È un territorio che va dalle province a Sud di Caserta a quelle a Nord di Napoli, in cui dal 1970 sono stati sversati rifiuti tossici inquinanti e materiali di scarto nucleare”; l’altra risposta è tanto poetica quanto realistica: “La terra dei fuochi è un omicidio consentito”.

Poi, nel corso della puntata, Ciociola aggiunge: “È un biocidio ai danni di due milioni di persone. In quelle zone si uccidono, perché dobbiamo usare la parole giuste, persone, animali, bambini e, soprattutto, la terra. L’Istituto superiore di sanità ha recentemente chiuso la bocca ai negazionisti: lì muoiono molti più bambini che altrove e questo è probabilmente legato all’inquinamento dovuto ai rifiuti tossici”. “C’è, infatti, – continuano – secondo i dati del 2013 nelle province napoletane un’incidenza del cancro superiore all’11 per cento per gli uomini e al 9 per cento per le donne rispetto alla norma; in quelle casertane del 9 per cento per gli uomini e del 4 per le donne”.

Ciociola non ha peli sulla lingua quando divide le colpe: “Molti hanno dormito. Il vero e grande burattinaio della questione è stato la grande industria che ha usato la Campania, ma non solo, la stessa situazione, infatti, si riscontra in Calabria, Puglia e Basilicata. Ci sono stati arresti ovunque, perfino in Toscana. Da una parte vi era la politica a coprire e le mafie, soprattutto, la camorra a realizzare”.

All’allusione di D’Anna su quelli che, soprattutto nel mondo del web, accusano il Sud “di essersela cercata”, Ciociola risponde con determinazione: “È certificato dal punto di vista giudiziario: il traffico di rifiuti tossici è andato da Nord a Sud. Quando si tratta di tutto questo non esistono settorializzazioni, si muovano mafie internazionali”.

A questo punto, l’inviato dell’Avvenire ricorda un’immagine: “Un vecchio contadino mi disse che mentre stava lavorando la terra, delle persone, alle 6 del mattino, vennero a sotterrare rifiuti tossici. Gli puntarono la pistola alla nuca e intimarono di tacere. È difficile fare gli eroi in una situazione del genere”.

Tuttavia, non è questa l’immagine che utilizzerebbe per descrivere, secondo il suo punto di vista, “la Terra dei fuochi”, una fotografia diversa piuttosto tanto tragica quanto veritiera: “Ricordo al Pausilipon (Ospedale Santobono Pausilipon di Napoli, ndr.), al reparto di oncoematologia, una bimba di 18 mesi. Non aveva più i capelli per la chemioterapia ed era seduta sul suo lettino, sorrideva, aveva nella mano destra un pacchetto di patatine e in quella sinistra la flebo. È morta 5 mesi dopo”. “La situazione è ‘devastata’, – continua – gli attivisti sono molto stanchi, spenti, si deve andare avanti per quella bimba. Ci sono troppi bimbi morti, perché quegli infami hanno seppellito sotto i loro stessi culi”.

Ciociola ci tiene a sottolineare che in questa opera di attivismo non è l’unico e che, anzi, ci sono molti colleghi, soprattutto, in ambito locale che rischiano di più e quotidianamente: “C’è una collega di Rai 3 Regione Campania Francesca Ghidini oppure Sandro Ruotolo. Non possiamo girarci da un’altra parte, soprattutto se fai questo mestiere, se ti giri diventi complice e io non voglio diventare complice”.

A questo punto, D’Anna fa emergere il suo lato vaticanista e chiede del ruolo della Chiesa in quei luoghi. Ciociola cita don Maurizio Patriciello, un fratello per lui, e racconta di un episodio agghiacciante, proprio perché il finale tragico non è stato fortunatamente scritto: “Una volta, andammo a trovare Don Peppe Diana alla sua tomba. Dopodiché ci pedinarono”. Non successe nulla, poi, ma a Don Peppe, invece, quel qualcosa successe e non deve essere dimenticato. “Anche se molti cercano di diffamarlo: profanando la sua tomba o accusandolo di essere stato un donnaiolo” rivela D’Anna sconcertato.

“Quanto costa fare questo lavoro di denuncia? – risponde Ciociola a una domanda del presentatore – Mi verrebbe da dire che si paga un prezzo spaventoso, ma in realtà non mi interessa, non ci piace atteggiarci a grandi eroi, ognuno fa le sue scelte e le scelte portano ad alcune conseguenze. Nessuno mi obbliga, se non scrivessi di ciò prenderei comunque lo stipendio. Vatti a fare un giro al Pausilipon, guarda certi occhi, poi non ti importa più questo prezzo. Vogliamo dare un senso a questa vita o no?”.

Questa storia si combatte con l’informazione, dicono, e con piccoli gesti anche da parte di coloro che non fanno gli attivisti a tempo pieno. “Bastano delle accortezze – dice l’intervistato – non comprate cose taroccate, perché il mezzo kilo di rifiuti tossici che proviene, ad esempio, da quella determinata borsa, state sicuri che verrà sversato illegalmente. Se compriamo siamo mafiosi o no? Capisco che c’è la crisi, capisco il risparmio, ma meglio una borsa in meno nell’armadio o alcune poco costose piuttosto che il taroccato”.

La puntata si conclude con uno scorcio sulla festa della donna, D’Anna, infatti, chiede una storia femminile di speranza proveniente da quei territori. “Cito la figura di Anna Magri. – risponde Ciociola – Lei ha perso Riccardo, suo figlio, per la leucemia. Quando andai ad intervistarla mi mise le sue foto sul tavolo, quell’intervista è finita che le lacrime venivano a me e non a lei. Il dolore di questi genitori non è cambiato e non cambia di una virgola, ma nonostante questo mettono la propria vita a servizio della comunità affinché non muoiano altri figli”.

Infine, una frase illuminante che riassume l’operato di tutti questi inviati che il giornalismo, lavoro ormai molto bistrattato, lo vivono con rigore e austerità: “Siamo prima uomini e poi giornalisti”.

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