Yara, Bossetti condannato all’ergastolo anche in appello

di Redazione

La Corte d’Assise d’Appello di Brescia ha confermato l’ergastolo per Massimo Bossetti, unico imputato per l’omicidio di Yara Gambirasio. Il muratore di Mapello, prima di lasciare l’aula scortato dalla polizia penitenziaria, ha avuto solo il tempo di salutare la madre Ester Arzuffi, in lacrime. Gli avvocati di Bossetti: “Clamoroso errore giudiziario”. Esulta il legale della parte civile: “Giustizia è stata fatta”.

Bossetti, impassibile durante la lettura della sentenza, “ha pianto” poi nella gabbia degli imputati. Lo ha riferito uno dei suoi avvocati, Claudio Salvani, che ha aggiunto: “Si è assistito alla sconfitta del diritto”. I legali del muratore di Mapello hanno quindi dato “per scontato” il ricorso in Cassazione. “Aspettiamo le motivazioni – hanno detto – ma il ricorso in Cassazione è scontato”. Anche la moglie di Bossetti, Marita Comi, non è riuscita a trattenere le lacrime dopo la conferma della condanna all’ergastolo.

I giudici hanno dato ragione quindi al procuratore generale, Mario Martani, che aveva chiesto la conferma della sentenza emessa un anno fa dal Tribunale di Bergamo. La decisione è arrivata dopo oltre 15 ore di camera di consiglio. Ore di attesa, preoccupazione e nervosismo che la moglie Marita, la mamma Ester e la sorella Laura Letizia hanno passato in tribunale, con i loro legali e i consulenti della difesa. Ad aspettare, insieme a loro, c’era anche una piccola folla di curiosi, quasi tutti innocentisti, che non si sono persi nemmeno un’udienza sia davanti al tribunale di Bergamo che davanti ai giudici bresciani.

IL CASO – È il 26 novembre 2010 quando di Yara Gambirasio si perdono le tracce. La 13enne va in palestra in via Locatelli a Brembate di Sopra (Bergamo) per consegnare uno stereo, poi il buio la ingoia lungo la strada verso casa. Tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, il corpo viene trovato in un campo incolto a Chignolo d’Isola. L’autopsia svela le ferite alla testa, le coltellate alla schiena, al collo e ai polsi. Nessuna mortale, il decesso arriva quando alle ferite si aggiunge il freddo.

Sui leggings e sugli slip della vittima c’è una traccia mista della vittima e di “Ignoto 1”, ma per arrivare a dare un nome all’assassino ci vorranno quasi quattro anni di indagini. Un’inchiesta unica al mondo: oltre 118mila utenze telefoniche di cui sono stati acquisiti i tabulati, più di 25mila profili genetici nelle mani di polizia scientifica e Ris. Il 16 giugno 2014 allo sconosciuto viene dato un nome: è Massimo Bossetti, muratore di 44 anni e padre di tre figli. Per lui l’accusa è di omicidio con l’aggravante di aver adoperato sevizie e di avere agito con crudeltà.

Un delitto aggravato anche dall’aver approfittato della minor difesa, data l’età della vittima. Contro di lui, a dire dell’accusa, diversi elementi: non solo il Dna, ma anche le celle telefoniche, il furgone ripreso dalle telecamere, le fibre tessili e le sfere metalliche trovate sulla vittima. Una serie di elementi che portano i giudici di primo grado a emettere la sentenza di ergastolo e che tornano al centro del processo d’appello a Brescia.

DNA – La traccia biologica – rinominata 31G20 – trovata sugli slip e sui leggings della vittima attribuita a ‘Ignoto 1’ è il faro dell’indagine. Una prova significativa visto che i due non si conoscevano ed è su un indumento intimo. Una traccia mista, forse sangue, di Yara e Ignoto 1. Il match arriva dopo un’indagine faticosa: si risale al padre del presunto colpevole (Giuseppe Guerinoni, viene riesumata la salma), poi alla madre (Ester Arzuffi) che nega la relazione clandestina. Una consulenza della procura evidenzia un’anomalia in quel reperto: il Dna nucleare combacia con il sospettato, non il mitocondriale (indica la linea materna).  Per il procuratore generale Marco Martani, l’analisi della traccia genetica porta a «risultati rassicuranti» con una «probabilità statistica che diventa assoluta certezza».

L’assenza del Dna mitocondriale «non inficia in alcun modo la valenza del nucleare, l’unico che identifica in maniera certa una persona». Il profilo genetico – «grottesco pensare sia un Dna sintetico messo lì apposta» – è la prova non solo che l’imputato e la vittima sono entrati in contatto ma che lui, attratto dalle 13enni, è l’autore dell’omicidio.  Per i difensori Claudio Salvagni e Paolo Camporini una traccia così pura «non può resistere più di poche settimane», ma soprattutto quel Dna «non è il suo, non c’è stato nessun match, ha talmente tante criticità – 261 – che sono più i suoi difetti che i suoi marcatori», dicono ricordando di non aver mai avuto accesso ai reperti. L’assenza di mitocondriale in quella traccia, che non ha le caratteristiche di una prova scientifica, va ‘risoltà concedendo una perizia, non chiedendo «un atto di fede».

FURGONE E FOTO SATELLITARE – Gli accertamenti sulle telecamere di Brembate di Sopra inquadrano il furgone di Bossetti in un orario «compatibile» con l’uscita di Yara dal centro sportivo, secondo l’accusa. Il furgone immortalato vicino al centro sportivo «non è dell’imputato» come mostrano alcuni particolari. Una foto satellitare del 24 gennaio 2011 sarebbe la prova che la 13enne è stata portata a Chignolo d’Isola solo successivamente, ma per l’accusa l’autopsia certifica che la 13enne è morta in quel campo incolto.

CELLE TELEFONICHE – Il 26 novembre 2010, giorno della scomparsa di Yara, l’ultima telefonata del muratore di Mapello è delle 17.45, poi il telefono non riceve traffico fino alle 7.34. L’ultima cella che aggancia è quella di via Natta a Mapello, un segnale che certifica la presenza di Bossetti in zona. Da alcune intercettazioni successive emerge «che quella sera rientrò a casa più tardi del solito». L’imputato aggancia la stessa cella della vittima «un’ora prima e in direzione diversa», replica la difesa che sostiene che l’imputato era a casa quella sera.

FIBRE TESSILI E SFERE METALLICHE – Sulla vittima c’erano fibre «compatibili» con la tappezzeria dei sedili del furgone di Bossetti. Sono state trovate anche sferette metalliche che riconducono a chi lavora «nel mondo dell’edilizia». Per la difesa, la compatibilità in un processo non basta. «C’è stato un contatto con quei sedili o si è seduta su sedili come quelli?», si chiedono gli avvocati che evidenziano come nel furgone sequestrato non ci siano tracce della vittima. Stesso discorso per le sferette, un elemento troppo comune.

MOVENTE E ALIBI – Bossetti non sa spiegare perché il suo Dna si trova sugli indumenti della vittima e alcune intercettazioni in carcere sulla descrizione del campo di Chignolo lo tradirebbero. L’uomo «attratto dalle ragazzine» potrebbe aver tentato un «approccio sessuale» poi sfociato nel delitto. Nulla, invece, per la difesa è certo: né l’orario, né il luogo della morte. L’imputato non ha nessuna perversione: le ricerche fatte con un pc familiare risalgono a dopo la morte della 13enne e «sono lecite».

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