Dopo tante e tante astensioni di noi penalisti, perché non condiviso in alcuni punti, il progetto di legge “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario” è oramai legge dello Stato Italiano.
Il testo modifica le disposizioni che riguardano le indagini preliminari, l’archiviazione e l’udienza preliminare ritoccando i tempi delle diverse fasi, le garanzie della persona offesa dal reato e, al contempo prevede che, allo scadere del termine massimo di durata delle indagini preliminari, il pm ha tre mesi di tempo (12 per i reati più gravi), prorogabili una sola volta, per decidere se chiedere o meno al giudice per le indagini preliminari l’archiviazione oppure se esercitare o no l’azione penale. Viceversa, scatterà l’avocazione dell’indagine del procuratore generale presso la Corte d’Appello.
Innovazione importante riguarda le persone offese dal reato che potranno chiedere informazioni sullo stato del procedimento dopo sei mesi dal deposito della denuncia. E non solo. Esse avranno a disposizione (e ciò è estremamente positivo!) un tempo più lungo per opporsi alla richiesta di archiviazione (il termine degli attuali dieci giorni non era assolutamente sufficiente).
Ma la riforma è epocale e va ad incidere anche sulle impugnazioni penali e sui riti speciali, tra cui l’abbreviato ed il patteggiamento. Infine, legge delega il Governo ad intervenire sulle intercettazioni, per trovare un equilibrio tra l’informazione e la riservatezza (le intercettazioni come investigazioni restano intatte); ad intervenire sul casellario giudiziale, per ridurre gli adempimenti amministrativi; sull’ordinamento penitenziario; sull’incremento delle opportunità per i detenuti di lavoro retribuito; sul miglioramento della medicina penitenziaria; sulla tutela delle donne recluse e madri; sulla rieducazione dei detenuti minori di età. Il testo prevede, inoltre, la revisione delle misure alternative alla detenzione e dei benefici penitenziari, in particolare all’istruzione e ai contatti con la società esterna, in funzione del reinserimento sociale.
Ma il punto dolente, causa di tante polemiche, è stato (ed è) quello della prescrizione riformata. La novità centrale (che noi penalisti non abbiamo condiviso) è che – dopo la sentenza di condanna di primo grado – il termine prescrizionale sia sospeso fino al deposito della sentenza di appello, e comunque, per un tempo non superiore ad un anno e sei mesi. E’ ciò, a mio avviso, può essere incostituzionale.
Per i reati di maltrattamenti in famiglia, tratta delle persone, sfruttamento sessuale di minori e violenza sessuale e stalking, se commessi in danno di minori, il termine di prescrizione invece decorre dal compimento del diciottesimo anno di età della vittima, salvo che l’azione penale non sia stata esercitata in precedenza; in quest’ultimo caso, infatti, il termine di prescrizione decorre dall’acquisizione della notizia di reato. E su questo punto nulla quaestio.
Per i reati di corruzione l’interruzione della prescrizione non può comportare l’aumento di più della metà del tempo necessario a prescrivere. Anche questa novella non è condivisibile perché non si può rimanere imputati e ” tra quel che sono sospesi” per lunghissimi anni (in questo caso tra i dodici anni ed i quindici anni). Ciò considerato che, come sosteneva il giurista Dario Santamaria, la prima pena per un imputato è il processo che costituisce per sé e per la propria famiglia il peggiore dei mali che possa capitare. E per fortuna che è stata introdotta la precisazione che la riforma della prescrizione potrà applicarsi ai soli fatti commessi dopo l’entrata in vigore della legge. Viceversa anche questa norma si prestava ad un giudizio di incostituzionalità. Ma è inconcepibile, per esempio, che una persona che ha commesso un reato a 45 anni (se condannata con sentenza irrevocabile dopo i tre gradi di giudizio) vada ad espiare la sua pena a 60 anni, quando ha cambiato vita e così via. Questo, a mio avviso, non può avvenire in un Paese civile.
Altre modifiche al codice penale (che condividiamo a pieno titolo) consistono nell’inasprimento delle pene per il reato di scambio elettorale politico-mafioso (reclusione da sei a dodici anni, al posto dell’attuale pena edittale che ha delle forbici che vanno da quattro a dieci anni) e per alcuni reati contro il patrimonio (ad esempio, tra il furto in abitazione e con strappo, il furto aggravato e la rapina, eccetera).
Una importante novità (che condividiamo in pieno e che, a nostro avviso, avrà un forte potere deflattivo) è l’estinzione del reato per condotte riparatorie. In buona sostanza, il giudice può dichiarare estinto il reato se l’imputato ha posto in essere delle condotte riparatorie (ha eliminati le conseguenze del reato), relativamente ovviamente a reati perseguibili a querela. Le nuove disposizioni si applicano anche ai processi in corso.
Il provvedimento, poi, modifica direttamente il regime di procedibilità del reato di violenza privata richiedendo nelle ipotesi non aggravata la querela di parte. E contiene la delega al governo a riformare le intercettazioni e i giudizi di impugnazione. In particolare, per le intercettazioni sono previsti principi a tutela della riservatezza delle comunicazioni e una nuova fattispecie penale (punita con la reclusione non superiore a 4 anni) a carico di quanti diffondano il contenuto di conversazioni fraudolentemente captate, al solo fine di arrecare danno alla reputazione. La punibilità è esclusa però, a nostro avviso correttamente quando le registrazioni vengono utilizzate in un procedimento amministrativo o giudiziario o per l’esercizio del diritto di difesa o del diritto di cronaca.
Il pm deve assicurare la riservatezza anche degli atti contenenti registrazioni di conversazioni o comunicazioni informatiche o telematiche inutilizzabili a qualunque titolo, ossia contenenti dati sensibili che non sono utili al procedimento. Anche le intercettazioni che abbiano coinvolto occasionalmente soggetti estranei ai fatti per cui si procede devono essere escluse. Il provvedimento contiene anche una disciplina per le intercettazioni effettuate tramite i cosiddetti ‘trojan’ (i captatori informatici che consentono di captare dialoghi tramite dispositivi mobili).
In conclusione, questa riforma, anche se presenta molti lati positivi, questi non compensano alcuni aspetti di essa che non sono condivisibili in punto di diritto che confermano costantemente un’incertezza generale in tema di processo penale. Ciò perché si legifera e si novella continuamente mettendo in discussione un assetto che dovrebbe essere fermo e stabile con dei paletti ben determinati nell’ambito di linee guide che tali dovrebbe restare. Viceversa, si barcolla nel buio delle interpretazione. Cosa, questa, che dal 24 ottobre 1989 (entrata in vigore del nuovo codice tipicamente accusatorio) ad oggi è una costante. E cosi, in uno stato di diritto, tale non dovrebbe essere. Speriamo che questo per il futuro non accada più.
Avvocato Raffaele Crisileo