Jeanne Moreau, addio all’attrice francese simbolo della Nouvelle Vague

di Redazione

E’ morta lunedì mattina l’attrice Jeanne Moreau. Icona del cinema francese e simbolo della Nouvelle Vague, Moreau – che aveva 89 anni – ha permesso al cinema di fare della sua immagine l’espressione di un intero immaginario. Quello di una cultura mimetizzata nella realtà e negli angoli delle strade, addentrata inesorabilmente nei vissuti delle persone, prima che dei divi. Musa di Louis Malle e di Francois Truffaut, è stata l’incarnazione di una forte spinta innovatrice nel cinema, grazie a personaggi ambigui e tutt’altro che funzionali alla rassicurazione.

Interprete di più di 100 pellicole, tra gli altri ‘Jules e Jim’. Nel celebre poster del film, con i colori uniti al bianco e nero, il personaggio di Catherine è la perfetta sintesi di un’attrice dalle tante sfumature, in cui anche il sorriso più spontaneo viene contrastato dalla timidezza di due mani impacciate.

Vita ed esordi – Figlia di un ristoratore di Montmatre e di una ballerina inglese, Jeanne Moreau nasce a Parigi il 23 gennaio 1928. Cresciuta nella capitale francese occupata dai nazisti, si avvicina al mondo della letteratura e del teatro contro il volere paterno. Dopo aver frequentato il liceo, si iscrive al Conservatoire, l’Accademia d’arte drammatica parigina. Qualche anno più tardi entra nella compagnia della Comédie-Française come più giovane attrice della troupe. Qui apprende le basi tecniche della recitazione, mentre nel 1951, accolta dal Théâtre National Populaire, si dedica al teatro sperimentale. L’esordio cinematografico avviene con film minori e attraverso ruoli altrettanto secondari come in Grisbi (1954).

Anni ’50 e ’60: l’exploit della Nouvelle Vogue – La svolta di una carriera assai precoce arriva grazie all’incontro con Louis Malle. Il regista, sempre sfuggente ai canoni della Nouvelle Vogue, la sceglie come protagonista in Ascensore per il patibolo (1957) e per il successivo Les amants (1958). Per due volte consecutive moglie instabile e libertina, Jeanne Moreau ha contribuito ad alimentare un cinema di rottura, capace di disturbare il pubblico e di creare scandalo. Senza mai perdere il distacco necessario a renderla un’attrice raffinata, Moreau continua la sua ascesa con La notte (1960) di M. Antonioni, ulteriore sfumatura drammatica per i suoi personaggi femminili articolati, stesso anno in cui viene premiata come migliore attrice a Cannes per la sua prova in Moderato cantabile – Storia di uno strano amore (1960).

Se Malle ne aveva plasmato il talento, l’incontro con F. Truffaut ne sancisce la maturità. Già scelta per un cameo in I quattrocento colpi (1959), il registra francese le regala il ruolo della vita con Jules et Jim (1961), dove la sua Catherine, personaggio trasgressivo e agitato, rafforza l’idea dell’emancipazione femminile. Gli anni ’60 sono quanto mai prolifici e pieni di collaborazioni con registri illustri, così si susseguono ruoli principali in Eva (1962) di J. Losey, Il processo (1962) di O. Welles, Fuoco Fatuo (1963) ancora diretta da L. Malle e in Il diario di una cameriera (1963) di L. Buñuel. A confermare l’avanguardia di questa interprete anche Viva Maria (1965), western tutto al femminile, girato al fianco della diversamente speculare Brigitte Bardot. Sull’onda di un successo in crescita esponenziale, ritorna a lavorare con F. Truffaut in La sposa in nero (1968), storia di una vedova mai stata sposa in cerca di vendetta.

Anni ’70 e ’80: l’esperienza da regista – Riconfermare gli alti livelli qualitativi di un decennio quanto mai ispirato non è facile. Per Jeanne Moreau gli anni ’70 si aprono con film godibili, ma meno significativi di quelli alle sue spalle, come I santissimi(1973) e Mr. Klein (1974). L’anno successivo passa dietro la macchina da presa, dirigendo Lumière – Scene di un’amicizia tra donne (1975), film sui retroscena del cinema parigino, mentre la carriera d’attrice invece continua con Gli ultimi fuochi (1976) di E. Kazan. Intanto, dopo altri due matrimoni falliti, nel 1977 si sposa per la terza volta con il regista W. Friedkin, un anno prima della sua seconda esperienza da regista con L’adolescente (1978). Nel corso degli anni ’80 gli impegni sui set si fanno più sporadici, ma tra questi va ricordato quello in Querelle de Brest (1982) nell’ultimo film diretto da R.W. Fassbinder.

Anni ’90 e Duemila: l’icona instancabile – Gli anni ’90 si aprono con un film significativo. Luc Besson le concede un ruolo di contorno in Nikita (1990) in cui Moreau mette in scena un passaggio di testimone verso una nuova frontiera dell’indipendenza femminile, ben più spietata e violenta dei suoi tempi. Un anno più tardi è invece W. Wenders a chiamarla nel suo road movie fantascientifico Fino alla fine del mondo (1991). Dopo 35 anni da La notte, riabbraccia Antonioni e Mastroianni nel corale Al di là delle nuvole (1995). Contesa dal cinema europeo e quello americano, l’icona instancabile di Jeanne Moreau insiste nello sposare cause femminili con La leggenda di un amore – Cinderella (1998). Nel 2000 il Festival di Berlino la premia con l’Orso d’Oro alla carriera, riconoscimento che la spinge a sperimentare altri territori artistici, come la regia teatrale e sceneggiati televisivi come I miserabili. Il cinema rimane il primo vero amore e per questo, fedele a questo sentimento, affrona nuovi personaggi nel drammatico Il tempo che resta (2005) di F. Ozon, in Gebo et l’ombre (2012) e in Lady in Paris (2013) opera che omaggia Parigi, il cinema francese e la stessa Moreau, in un paradigma di classe ed eleganza condivisa sullo schermo.

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