Una rete internazionale del terrorismo islamico che dallo Yemen, passando per la Tunisia e il Qatar, arriva fino in Veneto e in Puglia, e anche in alcune moschee del Casertano.
Moschee finite al centro di indagini della magistratura, che durano ormai da dieci anni, e che nell’agosto dello scorso anno portarono all’arresto del tunisino Mohammed Kamel Eddine Khemiri, custode della moschea casertana di San Marcellino, ritenuto simpatizzante dell’Isis e gestore di una centrale per la produzione dei documenti falsi destinati a persone provenienti dall’Africa del nord. La centrale era allestita proprio sopra il luogo di culto musulmano dell’agro aversano.
L’imam della moschea, Nasser Hidouri, tunisino, ex insegnante, che nella metà degli anni ’90 scappò dalla dittatura nel suo Paese, all’epoca dell’arresto riferì di non essersi accorto delle attività svolte da Khemiri, nonostante il suo “tifo” sfrenato per l’Isis palesato su Facebook. Ciò nonostante Hidouri, sempre distintosi come l’imam anti-odio, che ha sempre condannato pubblicamente gli attentati terroristici compiuti dall’Isis, già nel 2009 era stato indagato in Veneto. Poi la sua posizione era stata archiviata due anni dopo.
Ma con l’arresto di Khemiri sono emersi altri dubbi sul luogo di culto di San Marcellino. Secondo alcune fonti, il triangolo del radicalismo islamico tra Campania, Puglia e Veneto segue uno schema ben preciso. Al Sud gli imam radicali si occupano di accoglienza e indottrinamento, mentre in Veneto preparano i neofiti alla Jihad (la “guerra santa”). Un modello organizzativo che cerca di sfruttare anche la criminalità locale per la realizzazione di documenti contraffatti.
Circa trenta i personaggi, di varie nazionalità, della rete finiti nel mirino dell’intelligence. Tra gli indagati, uno yemenita, 44enne, sarebbe deputato a tenere contatti con varie comunità sul territorio nazionale, tra cui anche il Casertano. Intanto, gli 007 italiani tengono d’occhio i sospettati.
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