I finanzieri del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria, coordinati dalla Procura di Roma, hanno eseguito un provvedimento di sequestro preventivo, per un valore complessivo di oltre 160 milioni di euro, emesso dal Tribunale del Riesame capitolino, nei confronti di 22 persone, indagate per reati fiscali e di bancarotta fraudolenta, con l’aggravante della transnazionalità, commessi tra il 2010 ed il 2015.
Gli accertamenti esperiti hanno interessato due noti dottori commercialisti, P.C. e M.C., già arrestati nel giugno 2011 e recentemente condannati in primo grado per condotte analoghe a quelle ora contestate. Questa volta i due professionisti avevano formalmente separato la propria attività professionale continuando, in realtà, a collaborare, agevolando l’evasione fiscale di imprenditori che si erano loro rivolti e salvaguardandoli da ogni forma di responsabilità.
L’obiettivo di non versare le imposte all’erario, restando impuniti, poteva essere perseguito sia attraverso il trasferimento all’estero della parte di società gravata dei debiti erariali, sia attraverso la sua messa in liquidazione. In entrambi i casi era necessario ottenere la cancellazione dal registro delle imprese, così da impedire il fallimento dell’azienda e rendere dunque impossibile per l’erario riscuotere quanto dovuto.
In taluni casi, a fronte degli ingenti debiti tributari accumulati, le società venivano scisse in due parti: una contenente le attività in bonis destinate a ritornare nella disponibilità dei proprietari e, un’altra – gravata di debiti e prossima al fallimento – surretiziamente attribuita a compiacenti prestanome, del tutto insolvibili.
Il servizio reso dai commercialisti prevedeva, infatti, anche l’ingaggio di queste “teste di legno” che, in alcuni casi erano soggetti anziani e in precarie condizioni di salute, in altri, viceversa, erano persone del tutto insospettabili. In una circostanza, in particolare, un imprenditore si raccomandava affinché l’amministratore scelto fosse “pulito” e “capace di intendere e di volere”.
Ancora emblematico è il caso di un gruppo imprenditoriale che, da anni, annunciava mediaticamente la chiusura definitiva del noto magazzino di abbigliamento di cui era titolare, e che poi, invece, risultava continuare senza sosta la propria attività: bastava, in questi casi, diffondere notizie circa le proprie difficoltà economiche e poi trasferire fittiziamente il marchio ad una nuova azienda senza poi assolvere ai debiti maturati nel tempo.
In ultimo, tra i soggetti attinti dal provvedimento di sequestro, un imprenditore mantovano da sempre alla guida di aziende leader nell’impiantistica industriale, che già negli anni Novanta era stato coinvolto nell’inchiesta “Mani Pulite” per una tangente di 3 miliardi di lire e che in seguito era tornato agli onori delle cronache per un’accusa di truffa rivoltagli da altri imprenditori in ordine ad un comune investimento.
Le evidenze raccolte dagli investigatori hanno permesso di attribuire responsabilità penali a 30 soggetti a vario titolo indagati per aver contribuito a cagionare il fallimento di 15 società, gravate da ruoli esattoriali a titolo d’imposte per centinaia di milioni di euro, tutti sottratti proditoriamente al pagamento.
Tra le persone indagate, oltre ai due commercialisti, ci sono imprenditori operanti nei settori più disparati (call center, telecomunicazioni, l’intrattenimento, la torrefazione, il commercio di autoveicoli o di abbigliamento, eccetera), alcuni di essi molto in vista nel contesto economico sociale capitolino.