Cinema, addio al regista Umberto Lenzi: maestro dei “poliziotteschi”

di Redazione

E’ morto, all’età di 86 anni, il regista Umberto Lenzi, protagonista della stagione dei cosiddetti “poliziotteschi” italiani. Dalla casa di riposo “Villa Verde” era stato ricoverato all’ospedale “Grassi” di Ostia, dove è deceduto. Nato a Massa Marittima il 6 agosto 1931, fra le sue opere più note “Milano odia: la polizia non può sparare”, “Roma a mano armata” e “Napoli violenta”. Tra i suoi maestri, il regista aveva sempre messo al primo posto Raoul Walsh e Samuel Fuller. Nel 2008 aveva debuttato nella veste di scrittore di noir..

Firmò la sua prima regia cinematografica nel 1961 (esclusa la parentesi di un film girato in Grecia nel 1958 che però non trova distribuzione), il film di cappa e spada Le avventure di Mary Read. In seguito si dedicò alla rilettura dei classici salgariani, firmando tra gli altri: Sandokan, la tigre di Mompracem (1963) interpretato da Steve Reeves e I pirati della Malesia (1964) in cui, durante le riprese, venne sorpreso dallo scoppio della guerra civile che porta al distacco di Singapore dalla Malesia.

Seguendo l’onda delle nuove tendenze cinematografiche, sfruttò di volta in volta il fenomeno filmico del momento. Ed è sull’onda del successo della serie di James Bond 007, che in due anni girò ben quattro film di spionaggio, tra cui A 008, operazione Sterminio (1965) e Superseven chiama Cairo (1965). Nel 1968 mise in scena una sceneggiatura del giovane Dario Argento avvalendosi di una produzione Titanus decisamente ricca; il titolo è La legione dei dannati, una sorta di rilettura de I cannoni di Navarone (1961). Rimase sul genere bellico – uno dei suoi preferiti – anche col film Attentato ai tre grandi e nel 1978 girò negli Stati Uniti il film Il grande attacco, interpretato da attori come Henry Fonda, Helmut Berger e John Huston. Nel 1979 con lo pseudonimo di Hank Milestone, girò Contro quattro bandiere, una coproduzione italo-franco-spagnola con George Peppard e Horst Buchholz.

Lenzi in seguito si specializzò nel giallo all’italiana, inventando un sotto-genere, quello del “giallo erotico italiano”, che in seguito egli stesso definirà “thriller dei quartieri alti”, firmando la trilogia composta da: Orgasmo (1969), uno dei film più venduti negli Stati Uniti in quel periodo, Così dolce… così perversa (1969) e Paranoia (1970), tutti interpretati dall’ex stella hollywoodiana Carroll Baker. In tutti questi combinò erotismo, psicologia ed intrighi del mondo della nobiltà.

Nei primi anni settanta, dopo la rilettura del thriller argentiano ad opera di vari cineasti, anche Lenzi decise di inserirsi nel filone con ben cinque film: Un posto ideale per uccidere (1971), Sette orchidee macchiate di rosso (1972), Il coltello di ghiaccio (1972), Spasmo (1974) e Gatti rossi in un labirinto di vetro (1975). Tutti seguono più o meno fedelmente il modulo argentiano, a differenza di Spasmo, il quale predilige calcare terreni più introspettivi e psicologici. Nel frattempo, si cimentò in un genere inedito, il “cannibalico”, da lui inventato col film Il paese del sesso selvaggio (1972).

Conseguentemente alla nascita del genere cinematografico italiano denominato come “poliziottesco” col film La polizia ringrazia (1972) di Steno, Lenzi trovò finalmente il suo terreno più fertile, risultando il più prolifico cineasta di questo genere e firmando alcune tra le più apprezzate – più dal pubblico che dalla critica – opere del decennio; tra queste vanno sicuramente citate: Milano odia: la polizia non può sparare (1974), un film violento e atipico incentrato sull’ascesa criminale di un viscido delinquentello interpretato da un Tomas Milian in stato di grazia ed altri due polizieschi molto violenti: Roma a mano armata (1976), con la coppia Milian e Maurizio Merli e Napoli violenta (1976), quest’ultimo capace d’un incasso record di 60 milioni di lire solo nel primo weekend di programmazione, con protagonista ancora Merli il quale, non controfigurato, si prodigò, tra l’altro, in un lungo e spettacolare inseguimento sopra la funicolare del rione di Montesanto (Napoli).

In particolare, con l’attore cubano Milian, Lenzi creò un duraturo e fruttifero sodalizio che contribuisce alla riuscita di molte pellicole, fra cui Il giustiziere sfida la città. Insieme a Milian, inoltre, il regista inventò anche il personaggio de Er Monnezza, simpatico e furbo ladruncolo borgataro, che appare in Il trucido e lo sbirro e La banda del gobbo, fino al piccolo tradimento che Milian fa nei confronti di Lenzi, interpretando sempre Er Monnezza nel film di Stelvio Massi, La banda del trucido. In seguito a questo avvenimento, i rapporti tra i due artisti si incrinò, producendo di fatto la scissione del loro sodalizio cinematografico.

Lenzi contribuì anche al grande successo di Maurizio Merli, presenza costante nei suoi polizieschi nel ruolo del commissario tutto d’un pezzo, in film come Napoli violenta e Il cinico, l’infame, il violento. I polizieschi di Lenzi era molto duri e violenti, ma non mancava mai l’ironia mordace tipica di questo regista.

Giunto ai primi anni ottanta, il regista decise di seguire le orme dei più noti cineasti italiani di genere come Lucio Fulci e Dario Argento, cercando il successo nel genere horror. Il primo titolo fu Incubo sulla città contaminata (1980), film in particolar modo venerato da Quentin Tarantino, in cui degli uomini contaminati da radiazioni si trasformano in una sorta di cannibali assassini quasi indistruttibili – «Non sono zombi!» aveva tenuto più volte a sottolineare Lenzi. È un film che, chiaramente ispirato a Zombi di Romero, possiede una sua originalità, più volte citata in opere future dedicate all’argomento.

Nell’anno successivo, sulla scia di Cannibal Holocaust (1980) di Ruggero Deodato, dirige Mangiati vivi!, film dedicato ai cannibali che riscosse un discreto successo all’estero e che lo spinse a realizzare Cannibal Ferox (1981), pellicola di punta della sua “trilogia cannibalica”, che però ottiene bassi incassi (400.000 dollari nella prima settimana a New York), il quale però diventò anche uno dei film più censurati al mondo a causa di alcune scene di violenza reale perpetrata su animali esotici; nel corso di un’intervista concessa all’emittente televisiva romana T9, Lenzi fece due importanti considerazioni riguardo alla realizzazione di Cannibal Ferox (1981). La prima: “È un film che io ho sempre disprezzato perché l’ho fatto per motivi alimentari; ero stato un anno fermo, cosa rarissima nella mia carriera (…) ed ero rimasto disoccupato”.

A fine del decennio tornò al genere thriller/horror con Nightmare Beach (1988) una produzione minore girata negli Stati Uniti, gemella di un’altra pellicola scritta e co-diretta insieme a Vittorio Rambaldi, Rage, furia primitiva (1988). Successivamente diresse altri film horror tra cui La casa 3 – Ghosthouse (1988), seguito apocrifo della serie de La casa di Sam Raimi, prodotto da Joe D’Amato e sempre girato negli Stati Uniti, Paura nel buio (1989) ed il film a basso costo Le porte dell’inferno (1990), ultimo film dell’attore Giacomo Rossi Stuart. Lo stesso anno venne contattato da ReteItalia che gli commissionò un paio di film tv (altri due vengono richiesti a Lucio Fulci), aventi per soggetto le “case maledette”. Il risultato, nonostante il budget ridicolo ed un cast non propriamente eccelso a disposizione, fu comunque dignitoso. I film sono: La casa del sortilegio (1989) e La casa delle anime erranti (1989) in cui appare nei panni di una giornalista, la presentatrice-ecologista Licia Colò. Questi due film rappresentano anche le sole occasioni in cui il regista abbia lavorato per la tv.

Sempre negli Ottanta, Lenzi firmò molte pellicole di vario genere, fra cui la commedia con Donatella Rettore Cicciabomba (1982), un film della serie apocrifa di Pierino (Pierino la peste alla riscossa del 1982 con il comico toscano Giorgio Ariani come protagonista), l’avventura fantastica La guerra del ferro – Ironmaster (1983) scritto sulla falsariga di Conan il barbaro e il bellico I cinque del Condor (1985). Nel secondo lustro degli anni ottanta dirige Un ponte per l’inferno (1986) e Tempi di guerra (1987), due film di guerra girati in Jugoslavia.

L’ultima parte della sua carriera fu destinata al cinema di esportazione per i mercati minori, con pellicole discrete come Obiettivo poliziotto (1989), Caccia allo scorpione d’oro (1991) e Demoni 3 (1991) noto anche come Black Demons, terzo capitolo non ufficiale della serie horror inaugurata da Lamberto Bava.

Il suo ultimo film fu Hornsby e Rodriguez – Sfida criminale (1992), girato in parte negli Stati Uniti ed in parte a Santo Domingo. Un’invenzione dei produttori è invece il film Sarajevo, inferno di fuoco, uscito nel 1996 direttamente per l’home video, che combinò inserti e scarti di Obiettivo poliziotto e di Un ponte per l’inferno al fine di sfruttare l’evento mediatico della guerra nei Balcani.

Ritiratosi dal mondo dello spettacolo assieme alla moglie Olga Pehar, segretaria di produzione e attrice di alcuni suoi film, decise di pubblicare alcuni romanzi gialli, ottenendo un buon successo; successivamente collaborò con la rivista cinematografica italiana Nocturno.

Nel 2016 uscì la prima biografia, che parla della vita politica, sociale e professionale di Umberto Lenzi, un libro che ripercorre il vissuto del regista, da quando, negli anni cinquanta, si affacciava al mondo culturale, fondando e gestendo il circolo cinematografico della sua città, dove riuscì a portare autori eccellenti come: Vasco Pratolini, Pietro Germi, Federico Rossellini, che scelsero Massa Marittima, anche per proiettare le loro prime, tra le quali citiamo “il ferroviere”. Nella sua esperienza culturale giovanile, Lenzi incontrò Carlo Cassola e Luciano Bianciardi, coi quali collaborò alla fondazione di altri circoli cinematografici, fu partecipe alla scrittura di saggi e soprattutto alla protesta a seguito della strage mineraria di Ribolla. Poi la partenza verso Roma, per il Centro Sperimentale di Cinematografia, che nonostante le difficoltà ha fatto la fortuna professionale di Umberto Lenzi. Tutto questo nel libro “Una vita per il cinema. L’avventurosa storia di Umberto Lenzi regista” di Silvia Trovato e Tiziano Arrigoni.

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