I carabinieri forestali di Rovigo, nell’ambito di un’indagine su un traffico illecito di rifiuti, hanno sottoposto a custodia cautelare in carcere Gianni Pagnin, 66 anni, padovano, ex rappresentante legale della ditta Co.Im.Po srl di Adria (Rovigo), e Mauro Luise, 57enne polesano e amministratore di fatto della stessa società che da anni opera nel recupero fanghi di depurazione in agricoltura. Domiciliari per altre quattro persone: Glenda Luise e Alessia Pagnin, figlie degli arrestati e amministratrici della ditta, Rossano Stocco, rappresentante legale della Agri.bio.fert.correttivi srl, e Mario Crepaldi, dipendente della Co.Im.Po e di fatto factotum dell’impianto. I provvedimenti cautelari sono stati emessi dal gip di Venezia, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia che ha coordinato le indagini.
Disposto il sequestro preventivo dello stabilimento Co.Im.Po. srl ubicato a Ca’ Emo, nel Comune di Adria, nonché di 280 ettari di terreni agricoli ubicati nei comuni di Adria e Pettorazza Grimani in provincia di Rovigo che venivano utilizzati per lo smaltimento di enormi quantità di questi fanghi che solo sulla carta avevano subito il processo di trattamento ai fini di un loro corretto recupero. Sequestrati anche 9 mezzi di trasporto di proprietà della stessa Co.Im.Po. e di altri 57 mezzi agricoli di proprietà di undici imprese diverse ma tutti utilizzati per il trasporto illegale di questi rifiuti. Il valore dei beni sottoposti a sequestro viene stimato in circa 20 milioni di euro.
L’indagine ha avuto inizio a seguito dell’incidente mortale occorso il 22 settembre 2014 nello stabilimento in cui operavano sia Coimpo che Agri.Bio.Fert. Correttivi srl nel quale persero la vita tre dipendenti della stessa Coimpo, nonchè l’autista del mezzo di proprietà di una ditta esterna a causa delle esalazioni tossiche sprigionatesi durante le operazioni di scarico di acido solforico dall’automezzo alla vasca contenente i fanghi di depurazione. Subito dopo l’incidente, infatti, la Procura di Rovigo affidava le indagini ai carabinieri di Adria e, per gli aspetti relativi alla gestione dei rifiuti, all’allora Corpo Forestale dello Stato.
L’esame della copiosa documentazione consentiva di evidenziare, con assoluta certezza, molti episodi di gestione illecita dei rifiuti che in quell’impianto venivano fatti pervenire. Emergeva, così, fra le tante irregolarità, la circostanza che nei quattro anni dal 2010 al 2014 si erano ‘volatilizzate’ oltre 150mila tonnellate di fanghi (pari a circa seimila camion di rifiuti); dalla documentazione esaminata era possibile appurare, infatti, senza possibilità di errore, che l’impiego in agricoltura di questi fanghi rappresentava solamente il 23% dei rifiuti che in precedenza erano stati accettati nell’impianto.
L’analisi delle registrazioni effettuate dall’impianto di videosorveglianza della ditta e riferite ai ventotto giorni precedenti la data dell’incidente consentiva di accertare che il recupero dei rifiuti per la produzione del fertilizzante (meglio definito come correttivo calcico o gesso di defecazione) da parte della Agri.Bio.Fert. Correttivi Srl o nella stabilizzazione dei fanghi da destinare alla distribuzione su suoli agricoli da parte della Coimpo Srl, avveniva in totale dispregio delle procedure autorizzate. I rifiuti che giungevano in impianto, infatti, non venivano scaricati nelle preposte aree di stoccaggio per poi essere avviati alle lavorazioni bensì venivano riversati direttamente all’interno delle vasche destinate a contenere i fanghi già lavorati; da qui i fanghi venivano subito prelevati ed avviati allo spandimento sui terreni agricoli.
In buona sostanza, i rifiuti che entravano nell’impianto uscivano “tal quali” senza aver subito le operazioni di trattamento previste dalle norme di settore e dalle autorizzazioni emanate dalla Provincia di Rovigo. La motivazione dei comportamenti illeciti si individua nell’ingiusto profitto (circa un milione di euro all’anno) che i proprietari delle due aziende ottenevano risparmiando sulle lavorazioni interne e riducendo al massimo i costi legati al trasporto dei fanghi fuori dall’impianto e quelli connessi alle lavorazioni dei terreni utilizzati per gli smaltimenti. Per ottenere il massimo vantaggio i fanghi venivano distribuiti sempre sugli stessi terreni limitrofi all’impianto e in quantità nettamente superiori al consentito; queste modalità irregolari venivano occultate grazie all’adozione di vari stratagemmi quali l’indicazione nei documenti di trasporto di pesi irrisori o l’utilizzo di un singolo documento per più viaggi.
La distribuzione dei fanghi veniva spacciata, avvalendosi delle possibilità offerte dalle norme che regolamentano l’impiego dei fanghi in agricoltura e la produzione ed utilizzo di fertilizzanti, come apporto di sostanze nutritive e/o correttive di caratteristiche sfavorevoli (mai documentate) del terreno. Tra le molteplici condotte irregolari riscontrate le indagini hanno ricostruito anche lo smaltimento illecito di circa 1.200 tonnellate di rifiuti, spacciati per fertilizzante gesso di defecazione, sulla scorta di un responso analitico artefatto. Questo miscuglio di rifiuti, infatti, ad esito delle prime analisi ufficiali, denotava valori di mercurio superiori ai limiti fissati dalla specifica norma in materia di fertilizzanti al punto da non essere conforme e quindi non utilizzabile in agricoltura; solo dopo plurimi tentativi il sodalizio riusciva nell’operazione di predisporre un campione che, all’analisi, risultasse conforme ai parametri richiesti.
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