Dodici arresti sono stati eseguiti dalla polizia di Brindisi nell’ambito di una operazione antimafia che ha colpito presunti affiliati e fiancheggiatori appartenenti a un nuovo clan della Sacra Corona Unita attiva a Brindisi e Mesagne. Le indagini – coordinate dal pm Alberto Santacatterina della Direzione distrettuale antimafia di Lecce – hanno permesso di accertare che “autorevoli referenti”, tra i quali Antonio Campana, detenuto a Terni, davano disposizioni dal carcere attraverso la corrispondenza. Due di essi mantenevano contatti con numerosi altri detenuti, attribuendogli in alcuni casi l’investitura mafiosa e sancendone l’affiliazione. Dalle indagini sono emerse intenzioni di vendetta verso lo stesso magistrato che ha condotto l’indagine.
Dai colloqui registrati, stando alle valutazioni dei pm, è chiara la chiamata a raccolta effettuata da due personaggi di spicco dell’organizzazione mafiosa finalizzata a ricostituire un gruppo criminale autonomo e a fornire direttive a complici in libertà residenti in vari comuni della provincia di Brindisi. Il progetto di controllo del territorio prevedeva l’utilizzo di metodi intimidatori e un patto di non belligeranza con gli altri gruppi malavitosi delle province vicine.
In uno dei colloqui ascoltati dagli uomini della squadra mobile di Brindisi due degli arrestati parlavano anche delle armi in possesso del clan. Una delle figure apicali invitava inoltre gli alti appartenenti a “stare più calmi” e a “fare più fatti”. “Per esempio – dice l’uomo – se esce un cantiere voi andate e ve lo dovete prendere. Ogni cosa, ogni cosa che fanno, ve la dovete prendere voi”. “Li dobbiamo stuprare”, risponde un altro stuprato. “Eh, bravo, li dovete stuprare”, conferma l’uomo.
Oltre ai classici interessi criminali, come estorsioni e spaccio, l’attività del gruppo si concentrava sull’imposizione di guadagni nei settori della pesca e della gestione dei parcheggi. Nel corso delle indagini è stato anche intercettato il flusso di cosiddette “sfoglie” (pizzini) tra i soggetti coinvolti e sono state supportate dalle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia. Stando all’inchiesta, tra l’altro, Antonio Campana, detenuto a Terni e fratello di Francesco, boss tra i più influenti e sanguinari nella storia della Scu, sarebbe riuscito a comunicare all’esterno anche con un telefonino fatto entrare in carcere. Avrebbe impartito ordini, richiesto il sostentamento dei detenuti a chi si trovava all’esterno.
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