Un maxi-risarcimento di circa un milione di euro. È quanto sarà chiesto dai tre comitati che riuniscono gli ex proprietari delle cappelle funerarie acquisite al patrimonio dal Comune di Napoli nell’ambito di una vicenda legale di compravendita illegale che – però – non vede gli stessi proprietari imputati di alcunché. Il Comune di Napoli, nell’acquisire queste cappelle, ha inibito l’accesso agli ex proprietati creando una situazione paradossale: defunti chiusi a chiave con lucchetti e catenacci, arredi sacri rimossi, in pratica negata la libertà di culto dei morti a chi in quelle cappelle ha ancora conservate le spoglie dei propri cari.
Una prima sentenza è arrivata qualche giorno fa quando la IV Sezione del Tribunale Civile di Napoli ha accolto il ricorso di una ex proprietaria di una cappella funeraria tra quelle acquisite imponendo la rimozione di “catene e catenacci” e la “restituzione dell’arredo funebre e delle foto”. “Il Comune di Napoli tolga catena e catenaccio e restituisca arredo funebre e foto all’ex proprietario”. Questa, in sintesi, la pronuncia della IV Sezione del Tribunale Civile di Napoli che ha accolto il ricorso di una ex proprietaria di una cappella funeraria tra quelle acquisite al patrimonio dal Comune di Napoli in funzione di una sentenza del Consiglio di Stato.
Gli altri proprietari (90 circa) appartenenti a diversi comitati (Tutela del Sepolcro Gentilizio, Regolarizzazione Cimiteriale, Comitato Caro Estinto) nati dopo l’acquisizione al patrimonio promuoveranno ora un’azione legale congiunta che sarà illustrata dagli avvocati domani 23 maggio 2018. L’appuntamento è per le ore 17.30 presso “La Loggia del Paradiso” (via Santa Maria del Pianto, 23 – Napoli).
“Quello del Comune di Napoli è stato un atto di inaudita prepotenza che non ha tenuto conto di nessuna delle nostre istanze – spiegano gli appartenenti al comitato “Tutela del Sepolcro Gentilizio” – Noi abbiamo acquistato regolarmente quelle cappelle, con atto notarile regolarmente registrato e vidimato proprio dalla stessa amministrazione cittadina che, di contro, non ha mai vegliato affinché dietro queste documentazioni potessero nascondersi traffici poco chiari. La conclusione è che non solo ci sentiamo parte lesa, ma ci siamo visti privati del diritto di piangere i nostri cari, chiusi a chiave in cappelle che ci erano state tolte. Non siamo criminali ma siamo stati trattati anche peggio”. “Il nostro obiettivo – spiega l’avvocato Giovanni Rubinacci, che cura gli interessi dei membri del comitato – non è quello di far cassa, sia chiaro. Siamo disposti, e lo spiegheremo chiaramente, a trovare un accordo col Comune e a mettere da parte l’azione legale se finalmente questa amministrazione metta da parte l’arroganza, ascolterà le nostre istanze (condivise peraltro da tantissimi consiglieri comunali) e provveda a pianificare una sanatoria relativa ai manufatti in questione”.