CASERTA. Finisce con una sentenza della Corte di Appello di Napoli, sezione 79, la querela che lonorevole Sergio Tanzarella, eletto nelle file dellUlivo, presentò nel lontano 1995 contro lonorevole Nicolò Antonio Cuscunà.
Questultimo, oggi, assolto con formula piena insieme a Giuseppe Di Benedetto, già responsabile regionale di An per la sanità, perché il fatto non sussiste. La battaglia ingaggiata allepoca contro gli amministratori della sanità portò lonorevole Cuscunà a produrre in parlamento innumerevoli atti di sindacato ispettivo, avente proprio per oggetto La malasanità in Campania. Per informare la comunità lo stesso Cuscunà pubblicò a propria firma e con simbolo di Alleanza Nazionale un manifesto nel quale elencava una serie di casi eclatanti e chiamava in causa, quali corresponsabili, l’allora Assessore Regionale Mario Santangelo, il senatore casertano Ferdinando Imposimato e Tanzarella. Dei tre politici citati nel manifesto solo, lonorevole Tanzarella ritenne il manifesto ingiurioso e lesivo della propria dignità, e sporse querela nei confronti dei firmatari del documento. Il provvedimento penale contro lonorevole Cuscunà, del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, passò per competenza a Montecitorio dove ricevette il non corso a procedere perché ritenuto atti espressi nell’esercizio delle proprie competenze parlamentari; Ebbene a distanza di quasi 10 anni dal fatto, una sentenza di Corte Costituzionale riaprì i termini ed i processi a carico dei parlamentari; Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 18.12.06 processò e condannò per diffamazione dell’ex parlamentare di sinistra Tanzarella, lonorevole Cuscunà ed il dottor G. Di Benedetto. I condannati presentarono Appello alla Corte di Napoli per avere giustizia da una sentenza iniqua e lesiva della Libertà d’espressione delle proprie opinioni; l11 febbraio scorso, dopo 14 anni, grazie anche alla dedizione con la quale ha seguito il caso a difesa lavvocato Finizio di Tommaso, la Corte di Appello di Napoli sezione 79, ha processato ed assolto Cuscunà Nicolò Antonio e Giuseppe Di Benedetto, dei reati loro ascritti perché il fatto non costituisce reato.