Non solo imponeva ai candidati di avvalersi del suo “servizio di affissione” di manifesti elettorali a Caserta, tramite una società intestata alla moglie del boss, ma la fazione Capone del clan Belforte interveniva anche per condizionare il voto e orientarlo in favore di candidati disposti a versare al clan somme di denaro, buoni pasto e buoni carburante. E’ quanto emerso da un’indagine condotta dai carabinieri del comando provinciale casertano che stamani hanno eseguito 19 provvedimenti cautelari nei confronti di altrettanti indagati, a vario titolo, per reati di scambio elettorale politico mafioso, estorsione, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, commessi con l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso. Sotto la lente degli investigatori dell’Arma sono finite le elezioni regionali tenutesi in Campania il 31 maggio 2015.
Affissioni elettorali – E’ stato accertato che Giovanni Capone, all’epoca detenuto, utilizzando dei “pizzini”, aveva dato precise disposizioni al fratello Agostino Capone affinché si occupasse dell’affissione dei manifesti elettorali nella città di Caserta. Quest’ultimo, avvalendosi della collaborazione materiale di Vincenzo Rea, Antimo Italiano, Antonio Merola e Antonio Zarrillo, imponeva ai candidati di fare riferimento alla società di servizi “Clean Service”, a lui riconducibile in quanto intestata alla moglie, Maria Grazia Semonella. Tale imposizione avveniva sia con intimidazioni esplicite, come captato nel corso delle intercettazioni, sia attraverso minacce rivolte ai singoli soggetti sorpresi ad affiggere i manifesti a tarda notte, sia coprendo i manifesti affissi senza ricorrere alla loro società, facendo poi arrivare il messaggio che tale inconveniente non si sarebbe verificato se si fossero rivolti alla Clean Service. Una situazione che, di fatto, aveva limitato la libertà contrattuale dei candidati, i quali, pur di poter continuare a svolgere la campagna elettorale anche attraverso l’affissione di manifesti, erano costretti ad affidare l’incarico di stampa ed affissione ad una ditta non scelta liberamente.
Aggredito collaboratore di Luigi Bosco – Tra i candidati costretti a rivolgersi ad Agostino Capone c’era Luigi Bosco, consigliere regionale in carica, il quale ha confermato che a Caserta vi erano state alcune anomalie, in quanto per avere visibilità era necessario rivolgersi ad un determinato gruppo di persone. A conferma di ciò, Bosco ha raccontato agli inquirenti che un suo collaboratore, durante l’affissione dei manifesti nel Comune di Caserta, era stato aggredito da alcune persone che gli avevano intimato di allontanarsi, in quanto a Caserta nessuno poteva affiggere senza il loro consenso. Dopo quell’episodio, inoltre, Vincenzo Rea si era presentato presso il suo comitato elettorale con fare spavaldo, garantendo che affidando a loro l’affissione dei manifesti avrebbe avuto la giusta visibilità, viceversa avrebbe avuto dei problemi. Come emerge dalle conversazioni captate tra gli indagati, i proventi di tale attività ammontavano a circa 17mila euro, dei quali una parte erano destinati a rimpinguare le casse della fazione del clan riferibile a Giovanni Capone, con particolare riferimento al mantenimento degli affiliati all’epoca detenuti in carcere.
Scambio elettorale politico mafioso – Agli arresti domiciliari sono finiti anche due politici: Pasquale Corvino (ex vicesindaco di Caserta) e Pasquale Carbone (ex sindaco di San Marcellino), entrambi candidati con il “Nuovo Centro Destra – Campania Popolare” durante le elezioni regionali del 2015, accusati per aver chiesto agli esponenti del clan Belforte di procurare loro i voti di soggetti legati all’associazione camorristica, in cambio dell’erogazione di somme di denaro e di altre utilità. In particolare, Pasquale Corvino avrebbe chiesto l’appoggio elettorale nel territorio di Caserta, promettendo ad Agostino Capone e Rea la somma di 3mila euro ciascuno, buoni spesa e buoni carburante, oltre ad un “regalo” per Giovanni Capone. Anche il candidato Pasquale Carbone, attraverso un intermediario, si era rivolto ad Antonio Merola, affiliato al clan Belforte, fazione di Capone, per ottenere i voti del clan e, come corrispettivo, aveva versato la somma di 7mila euro, in cambio di cento voti nel Comune di Caserta. Al termine delle elezioni, Carbone otteneva nel capoluogo meno voti di quelli promessi, 87 anziché 100, motivo per il quale chiedeva la parziale restituzione della somma versata per il procacciamento dei voti.
Anziani accompagnati al seggio – Di particolare interesse risultano le conversazioni intercettate tra gli indagati, nelle quali Agostino Capone minacciava delle persone al fine di assicurarsi i voti (“Se non escono i voti devi vedere! Ti togliamo la macchina da sotto!”,) a dimostrazione della forza intimidatrice utilizzata per ottenere i voti per Pasquale Corvino. Ulteriormente rilevanti, sono le esternazioni sulle modalità con le quali sarebbe stato controllato il rispetto dei patti, cioè che i voti promessi a Corvino sarebbero effettivamente stati dati dagli elettori che avevano ricevuto i buoni spesa o carburante (Li vado a prendere… li porto a votare fino a dentro! Con il telefono in mano faccio la foto, devo vedere sul telefono se no non hanno niente!”). A conferma della spregiudicatezza degli indagati, è stato accertato come Agostino Capone, in persona, si fosse occupato di accompagnare con la sua autovettura alcune persone anziane al seggio, facendole entrare nella cabina elettorale insieme alla moglie, per controllare se avessero votato bene. Lo stesso Capone, in una conversazione ambientale, raccontava alla moglie di aver controllato le schede prima di farle imbucare e di aver corretto con la matita il nome del candidato in Corvino, arrivando persino ad intimidire il presidente del seggio (“Non mi ha detto proprio niente perché io lo stavo menando a quello là dentro!”).
Detenzione e spaccio di droga – Nel corso delle indagini sul conto di Agostino Capone è emerso come lo stesso fosse anche coinvolto nell’attività di spaccio di sostanze stupefacenti su Caserta ed ambisse a divenire l’unico fornitore per gli spacciatori al dettaglio di Caserta. Dalle intercettazioni emergeva infatti che Capone aveva ottenuto a credito, grazie all’intermediazione di Mario De Luca, una significativa partita di stupefacente del tipo cocaina da malavitosi dell’agro aversano, finalizzata all’approvvigionamento di altri spacciatori al dettaglio del capoluogo, identificati in Rosario Palmieri, Roberto Novelli, Modestino Santoro, Salvatore Vecchiariello e Giovanni Gualtieri. Agostino Capone, inoltre, avvalendosi dell’intermediazione di Alberto Russo, personaggio in collegamento con la criminalità organizzata del Parco Verde di Caivano, aveva acquistato, insieme a quest’ultimo, grosse partite di hashish da cedere al dettaglio attraverso piccoli spacciatori, identificati in Clemente Vergone, Silvana D’Addio, Ferruccio Coppola e Giovanni Gualtieri. L’obiettivo di Agostino Capone era chiaramente quello di ottenere il controllo delle piazze di spaccio di Caserta, sfruttando la sua stabile appartenenza al clan camorristico dei Belforte e la sua ascesa criminale come referente del clan su Caserta. L’ambizione di accreditarsi come referente dello spaccio nel capoluogo naufragava a causa delle difficoltà incontrate da Capone nell’onorare il debito contratto con i suoi fornitori, i quali, spazientiti dai continui ritardi, arrivarono persino a prelevarlo da casa sua e a trattenerlo in una località sconosciuta fino al pagamento di parte del debito.
Gli indagati – In carcere sono finiti: Giovanni Capone, 54 anni; Agostino Capone, 51; Antimo Italiano, 59; Antonio Merola, 37; Vincenzo Rea, 59; Antonio Zarrillo, 52; Mario De Luca, 50; Roberto Novelli, 54; Rosario Palmieri, 46; Modestino Santoro, 47; Clemente Vergone, 49; Giovanni Gualtieri, 41. Ai domiciliari: Pasquale Carbone, 57; Pasquale Corvino, 61; Maria Grazia Simonella, 46; Salvatore Vecchiariello, 43; Alberto Russo, 39. Divieto di dimora nelle province di Napoli e Caserta per: Silvana D’Addio, 46; Ferruccio Coppola, 31.