Centinaia di documenti, audizioni e prove, finora top secret, vengono resi accessibili e digitalizzati. La commissione Antimafia ha deciso di declassificare tutti gli atti secretati dalle inchieste parlamentari dal 1962 al 2001. Si comincia con le audizioni del giudice Paolo Borsellino, come quella del 1984 mentre stava lavorando al maxi-processo a Cosa nostra in cui dice: “La macchina blindata solo la mattina, così posso morire il pomeriggio”.
Il materiale, dal 1963 al 2001, viene raggruppato nel nuovo sito, all’indirizzo antimafia.parlamento.it che consente di fare ricerche relative a tutte le precedenti legislature: si tratta di oltre 1.600 documenti. “La Commissione Bindi aveva iniziato questo lavoro – ha spiegato il presidente della commissione, Nicola Morra – noi abbiamo fatto alcuni passi ulteriori”. Il grande lavoro fatto dalle Commissioni Antimafia in tutti questi anni, oltre a resoconti, materiale audio, dossier, archivi, viene reso dunque disponibile.
“E’ la più grande operazione i trasparenza mai fatta con la rimozione del segreto funzionale per le sedute di qualunque seduta collegiale. Avremo una foto dell’intera storia della Commissione antimafia. Oggi avviene un’opera di pubblicazione degli atti, rendendo il materiale accessibile a tutti i cittadini, un’opera mai fatta finora, è un giorno importante. E’ materiale di grande valenza storica”, ha sottolineato Angela Salafia, che coordina il comitato sul Regime degli atti in Antimafia.
Il primo filone di documenti desecretati dalla Commissione Antimafia riguarda il giudice Paolo Borsellino. Sono audio riguardanti le sue audizioni alla Commissione in cui riferiva anche dei problemi organizzativi della procura. In quel periodo Borsellino era giudice istruttore a Palermo già da nove anni ed era pienamente operativo il cosiddetto “pool antimafia”, istituito dal consigliere Rocco Chinnici (ucciso il 29 luglio 1983). Un momento storico e delicato. Tommaso Buscetta era stato da poco arrestato in Brasile (ottobre 1983), ma ancora non estradato. Inoltre, dopo gli omicidi, tra gli altri, del dirigente della Squadra mobile di Palermo Boris Giuliano (21 luglio 1979) e del consigliere Chinnici, il problema della sicurezza e della protezione dei magistrati e degli operatori della Polizia giudiziaria era drammaticamente avvertito.
E Borsellino lamentava problemi sulla sicurezza e la gestione delle scorte. Nel suo caso era presente la protezione solo di giorno: “Una buona parte di noi (il pool antimafia ndr) non può essere accompagnata in ufficio di pomeriggio da macchine blindate, come avviene la mattina, perché il pomeriggio è disponibile solo una blindata, che evidentemente non può andare a raccogliere quattro colleghi. Pertanto io, sistematicamente, il pomeriggio mi reco in ufficio con la mia automobile e ritorno a casa alle 21 o alle 22. Magari con ciò riacquisto la mia libertà, però non capisco che senso abbia farmi perdere la libertà la mattina per essere poi, libero di essere ucciso la sera”.
“E’ necessario che quella Agenda Rossa che è stata sottratta da mani di funzionari di uno Stato deviato e che giace negli archivi grondanti sangue di qualche inaccessibile palazzo di Stato e non certo nel covo di criminali mafiosi venga restituita alla Memoria collettiva, alla Verita’ e la Giustizia”. E’ un passo della lettera inviata da Salvatore Borsellino, fratello del procuratore aggiunto Paolo ucciso nella strage di via D’Amelio il 19 luglio ’92, al presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra, dopo che palazzo San Macuto ha deciso di declassificare tutti gli atti secretati dalle inchieste parlamentari dal 1962 al 2001. “Ora, a ventisette anni di distanza – scrive Borsellino – io non posso accettare che i pezzi di mio fratello, le parole che ha lasciato, i segreti di Stato che ancora pesano su quella strage vengano restituiti a me, ai suoi figli, all’Italia intera, ad uno ad uno. E’ necessario che ci venga restituito tutto, che vengano tolti i sigilli a tutti i vergognosi segreti di Stato ancora esistenti e non solo sulla strage di Via D’Amelio ma su tutte le stragi di stato che hanno marchiato a sangue il nostro paese”.