Giovedì 14 novembre, alle ore 18, nella Casa della Cultura ‘Caianiello’ ad Aversa, alla presenza del vescovo Angelo Spinillo, del direttore della Caritas, don Carmine Schiavone, e delle rappresentanze di numerose associazioni sarà presentato alla stampa, e alla cittadinanza, il primo rapporto della diocesi di Aversa ‘Dossier Povertà e Risorse 2019’. Prima edizione in assoluto di uno screening del nostro territorio, caratterizzato un’analisi attenta di tutti i dati raccolti dai vari servizi della Caritas presenti nella diocesi, su quelle che sono le maggiori emergenze in termini di povertà, emarginazione e integrazione, che a oggi affliggono gran parte della nostra provincia. In effetti, un filo diretto con il monitoraggio delle tristi problematiche sociali operato ogni anno dalla Caritas su scala nazionale.
Un “esercito di poveri” in attesa, la sintesi, drammatica, del rapporto 2018 della Caritas Italiana su povertà e politiche di contrasto. Persone che non riescono a vivere dignitosamente – e sono più di 5milioni in Italia – perlopiù giovani tra i 18 e 34 anni con un basso livello d’istruzione. Nel Mezzogiorno i dati confermano che le richieste di aiuto provengono soprattutto da italiani, circa il 68 percento delle storie intercettate dai tanti Centri di ascolto. Abbiamo posto alcune domande, sull’argomento, a don Carmine Schiavone, il quale ci fornisce preziosi spunti di riflessione.
Può tracciare un identikit delle persone che quotidianamente chiedono aiuto alla Caritas? “La platea che bussa alla porta della Caritas è molto eterogenea, sempre più ci troviamo ad affrontare situazioni sociali e sanitarie connotate da un elevato disagio. Trattasi di povertà multidimensionali, talvolta caratterizzate dalla compresenza di più fattori: ambientali, economici, familiari, legali, sanitari. Un’emergenza sociale che abbiamo riscontrato negli ultimi periodi è strettamente connessa alle situazioni di violenza intra-familiare, sempre più donne con figli minorenni ci chiedono aiuto per essere messe in sicurezza, nondimeno persone che al termine della carcerazione non hanno più qualcuno che li possa riaccogliere, una casa dove fare ritorno. La maggior parte di queste persone è di nazionalità italiana, over 40, senza più reti familiari o amicali di riferimento”.
Spesso con la vostra presenza siete chiamati a sopperire alla mancanza delle istituzioni nonché a inadeguati investimenti sul welfare. Può confermare? “Purtroppo ci troviamo a prendere in carico situazioni complesse che richiederebbero, per una più efficace e concreta risoluzione dei singoli casi, l’azione sinergica di più istituzioni, sociali e sanitarie. Lo facciamo, poiché non sempre disponiamo di tutta una serie di strumenti, risorse, figure professionali nonché strutture adeguate per intervenire. Nel tempo stiamo cercando di avviare, con grossa fatica, processi virtuosi di collaborazione tra le diverse istanze, divenendo a tal proposito quel “collante” che tiene insieme in una logica comunitaria che possa finalmente includere socialmente chi vive ai margini della società”.
La povertà non ha colore, non ha età. Sembra però essere fortemente legata ad un basso livello d’istruzione. Dunque, una povertà anche educativa e culturale? “Assolutamente sì. La maggior parte delle persone che afferiscono al Centro di Ascolto Diocesano e alla Mensa dei Poveri si collocano in un target socio-culturale oltremodo deprecabile, ciò li esclude a priori dalle richieste sempre più esigenti del mercato del lavoro. Rileviamo quotidianamente anche un tasso di dispersione scolastica da non sottostimare”.
‘Povertà in attesa’, quanto può durare l’attesa considerando che un pasto caldo, o un riparo sicuro per la notte, possono alleviare i disagi, non spazzarli via? “La necessità è proprio quella di realizzare interventi che possano finalmente restituire dignità e autonomia alle persone. Purtroppo ciò non è stato possibile con le prime due misure di contrasto alla povertà nazionali varate in Italia, dal Sia al Rei. Garantire una somma di denaro a chi non lavora, a lungo andare, porta alla rassegnazione e al ripiegamento degli individui in loro stessi. La produzione di ricchezza attraverso il lavoro è il cardine della moderna democrazia liberale. Pertanto, il reinserimento lavorativo dei nuclei familiari – finalità del progetto personalizzato di presa in carico – dovrebbe avvenire nel giro di pochi mesi dall’erogazione economica”. Dunque una povertà, che non ha razza, età, sesso o condizione sociale ma che, certamente, non può più aspettare!