I militari dei comandi provinciali della Guardia di finanza e dei carabinieri di Reggio Calabria, insieme a personale del centro operativo della Direzione investigativa antimafia e del Servizio centrale investigazione criminalità organizzata della Guardia di finanza, con il coordinamento della Procura Antimafia, diretta dal procuratore capo Giovanni Bombardieri, hanno eseguito provvedimenti, emessi dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, presieduta da Ornella Pastore, su richiesta del procuratore aggiunto Calogero Gaetano Paci e dei sostituti Walter Ignazitto e Stefano Musolino, che dispongono l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale del sequestro su compendi societari, beni mobili e immobili, nonché rapporti finanziari per un valore complessivo stimato superiore a 200 milioni di euro riconducibili ai noti imprenditori edili reggini Andrea Francesco Giordano, 68 anni, Michele Surace, 62, Giuseppe Surace, 35, e Carmelo Ficara, 63, indiziati di appartenenza/contiguità alle note cosche reggine dei “Tegano” e “De Stefano”.
Gli imprenditori erano stati tratti in arresto, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa su proposta della Procura antimafia di Reggio Calabria nell’ambito dell’operazione “Monopoli” condotta dal comando provinciale dei carabinieri, all’esito della quale, nel 2018, erano stati raggiunti da provvedimenti restrittivi personali per i reati, tra gli altri, di associazione per delinquere di tipo mafioso, trasferimento fraudolento di valori e autoriciclaggio, aggravati dall’agevolazione mafiosa, nonché reali, su compendi aziendali di imprese/società, beni mobili e immobili, per un valore complessivo stimato in 50 milioni di euro. Al riguardo, l’attività investigativa, avviata nel febbraio 2017 dai militari del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria, ha fatto luce su un sistema di cointeressenze criminali, coltivate da imprenditori reggini che, sfruttando l’appoggio delle più temibili cosche cittadine, erano riusciti ad accumulare, in modo del tutto illecito, enormi profitti prontamente riciclati in fiorenti e diversificate attività commerciali.
Le risultanze investigative hanno consentito di appurare come gli imprenditori Andrea Giordano e Michele Surace, quest’ultimo coadiuvato dal figlio Giuseppe, sfruttando l’appoggio delle cosche cittadine, fossero riusciti ad accumulare, in modo del tutto illecito, enormi profitti prontamente riciclati attraverso diverse attività commerciali – tra le quali l’unica Sala Bingo presente nel comune di Reggio Calabria – attività gestita in regime di “monopolio” in virtù di precisi accordi stipulati con esponenti apicali della famiglia “Tegano” di Archi – nonché reimpiegando ingentissime quantità di denaro per lo più nel settore edile, grazie alla costituzione di svariate società fittiziamente intestate a compiacenti prestanome.
Nel dettaglio, le rivelazioni di alcuni collaboratori hanno delineato il profilo di Andrea Giordano e Michele Surace quali affiliati di lunga data ai “Tegano” di Archi ed in contatto, in particolare, con il boss Giovanni Tegano, classe 1939, attualmente detenuto. Gli approfondimenti investigativi svolti dai Carabinieri hanno permesso di ripercorrere le fortune del duo imprenditoriale Surace-Giordano, che hanno preso il via dall’attività di costruzione di fabbricati nell’edilizia residenziale. Infatti, verso la fine degli anni ’90 realizzavano il complesso residenziale “Mary Park” – fabbricato che successivamente ospiterà i locali dell’unica sala bingo cittadina – e numerose villette a schiera, in cui era stata riservata la disponibilità di un appartamento a Giuseppe Tegano, fratello del boss Giovanni. Il rapporto sinallagmatico con la cosca, nel tempo, ha garantito agli imprenditori Andrea Giordano e Michele Surace un eccezionale sviluppo economico. In tale contesto, gli accertamenti esperiti hanno permesso di documentare il reimpiego dei proventi illeciti della cosca in diversificate iniziative imprenditoriali affidate a Surace e Giordano, divenuti nel tempo un tassello fondamentale del sistema di riciclaggio e reinvestimento dei proventi illeciti della “famiglia”.
All’imprenditore Carmelo Ficara, invece, viene contestato l’aver concluso un patto con lo storico sodalizio criminoso reggino dei De Stefano, in cambio del quale avrebbe ottenuto protezione e possibilità di sviluppo imprenditoriale ed edificatorio, soprattutto nel territorio di Archi. Andrea Francesco Giordano cl.’51, Michele Surace cl. ’57 e Carmelo Ficara cl. ’56, emergono altresì dalle risultanze investigative di cui all’operazione “Martingala”, condotta dal locale centro operativo della Dia e dal Gico del Nucleo di polizia economico finanziaria di Reggio Calabria, con il coordinamento della Dda, nei confronti di un articolato sodalizio criminale dedito alla commissione di gravi delitti tra cui, a vario titolo, quelli di associazione mafiosa, riciclaggio e autoriciclaggio, associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni, con l’aggravante, per alcuni di essi, del metodo mafioso – e conclusa nel 2018 con l’esecuzione di provvedimenti restrittivi personali nei confronti di 27 persone, nonché di provvedimenti cautelari reali nei confronti di 51 società, anche estere, partecipazioni sociali, beni mobili e immobili, disponibilità finanziarie per un ammontare complessivo stimato in circa 119 milioni di euro.
In tale contesto, è stato delineato un illecito sistema – cosiddetto “Sistema Scimone” dal nome del suo ideatore e promotore Antonio Scimone – che, attraverso l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti – grazie all’impiego di società cartiere – era funzionale alla consumazione di frodi fiscali e di riciclaggio, nonché al reimpiego di imponenti flussi finanziari provenienti da imprenditori espressione dell’infiltrazione economica della ‘ndrangheta. In relazione alle risultanze dell’attività di cui sopra, la locale Direzione distrettuale antimafia – sempre più interessata agli aspetti economico-imprenditoriali legati alla criminalità organizzata – valorizzando anche le funzioni proprie della Guardia di finanza e della Dia nella prevenzione e contrasto ad ogni forma di infiltrazione della criminalità nel tessuto economico del Paese e di aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati – delegava al Gruppo investigazione criminalità organizzata (Gico) della Guardia di finanza, al Nucleo investigativo dei carabinieri e al centro operativo Dia, apposita indagine a carattere economico/patrimoniale finalizzata all’applicazione, nei confronti dei citati imprenditori, di misure di prevenzione personali e patrimoniali.
Nella stessa ottica, deve essere evidenziato lo sforzo dell’Arma dei carabinieri nella ricerca dei patrimoni illecitamente accumulati (individuazione delle intestazioni fittizie e delle transazioni finalizzate a dissimulare la reale provenienza dei beni), attraverso una implementazione delle strutture specialistiche, che operano in maniera simbiotica rispetto alle tradizionali articolazioni investigative, e che hanno consentito – negli ultimi anni – di raggiungere risultati ragguardevoli nello specifico settore, tranciando il supporto finanziario ai gangli criminali territoriali. Al riguardo, dopo aver delineato il profilo di pericolosità sociale qualificata dei proposti, anche valorizzando le risultanze delle pregresse indagini, la pertinente attività investigativa è stata indirizzata alla ricostruzione delle acquisizioni patrimoniali – dirette o indirette – effettuate nell’ultimo trentennio, accertando – attraverso una complessa, articolata e minuziosa attività di accertamento e riscontro documentale – i patrimoni dei quali i medesimi risultavano disporre, direttamente o indirettamente, il cui valore era decisamente sproporzionato rispetto alla capacità reddituale dichiarata ai fini delle imposte sui redditi, nonché le fonti illecite dalle quali i medesimi avevano tratto le risorse per la loro acquisizione e, soprattutto, la natura mafiosa delle attività d’impresa svolte – nel tempo – dai proposti quali imprenditori espressione delle cosche di riferimento.
Con riferimento al percorso esistenziale dei proposti, venivano individuate le condotte delittuose poste in essere, le frequentazioni, i legami parentali, i precedenti giudiziari e gli altri elementi ritenuti fondamentali per la formulazione, ai sensi della normativa antimafia, da parte della competente autorità giudiziaria, del prescritto giudizio prognostico sulla pericolosità sociale. Dagli approfondimenti info-investigativi all’uopo svolti è infatti emerso come i predetti, inseriti nelle file della ‘ndrangheta reggina, avessero stabilmente e in maniera sistematica messo a disposizione, nel tempo, le proprie risorse economiche e capacità professionali, non solo a favore delle citate cosche Tegano e De Stefano – intessendo con questi un rapporto di florida e pluriennale collaborazione in una prospettiva di biunivoca utilità – ma anche a sostegno delle più importanti famiglie mafiose del capoluogo quali i Latella, Libri ed i Labate, nell’ottica dell’ormai riconosciuta unitarietà della ‘ndrangheta.
Le investigazioni svolte, tra l’altro, hanno consentito dì acquisire plurimi elementi di riscontro in merito a fittizie intestazioni di beni – architettate dai citati imprenditori con la complicità di familiari e terzi prestanome – per eludere l’applicazione dì misure di prevenzione patrimoniali, attraverso la costruzione di articolate strutture volte a schermare la titolarità di fatto di società e immobili costituenti un cospicuo patrimonio di provenienza delittuosa. Alla luce di tali risultanze, il Tribunale di Reggio Calabria – sezione Misure di prevenzione – su richiesta della Dda, con l’odierno provvedimento – ritenuta sussistente la pericolosità qualificata dei citati proposti, ha disposto l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale del sequestro dell’intero patrimonio riconducibile a Andrea Francesco Giordano, Michele Surace, Giuseppe Surac, e Carmelo Ficara, nonché ai rispettivi nuclei familiari, costituito dall’intero compendio aziendale di 20 imprese/società commerciali edili (comprensivo, altresì, di quote sociali, 172 immobili, 9 veicoli), quote societarie relative a 10 imprese, 284 tra fabbricati e terreni, 4 veicoli, nonché disponibilità finanziarie e rapporti bancari/assicurativi, per un valore stimato in oltre 200 milioni di euro. IN ALTO IL VIDEO