Mafia, blitz tra Sicilia e Lombardia: 91 arresti, ex concorrente GF prestanome boss

di Redazione

Cosa nostra pronta a sfruttare la crisi generata dall’emergenza Covid: prestando soldi a usura, interessandosi ad aziende sull’orlo della crisi, offrendo “aiuto”, anche cibo, a disoccupati e magari affiliando nuovi adepti. C’è anche questo aspetto da considerare nella maxi operazione della Guardia di finanza di Palermo che ha arrestato 91 tra boss, gregari, estorsori e prestanome di due storici clan palermitani. Il blitz, coordinato dalla Dda di Palermo guidata da Francesco Lo Voi, ha colpito i clan dell’Acquasanta e dell’Arenella. In manette sono finiti esponenti di storiche famiglie mafiose palermitane come quelle dei Ferrante e dei Fontana. Le accuse contestate sono a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, intestazione fittizia di beni, ricettazione, riciclaggio, traffico di droga, frode sportiva e truffa.

Droga, appalti, orologi, cavalli – L’inchiesta, che spezza gli affari di due “famiglie” di spicco di Cosa nostra palermitana, ha svelato gli interessi dei clan negli appalti e nelle commesse sui lavori eseguiti ai Cantieri navali di Palermo, nelle attività del mercato ortofrutticolo, nella gestione delle scommesse online e delle slot-machine, oltre che in quella “storica” del traffico di droga e nelle corse dei cavalli. Lunghissima la lista delle attività commerciali sottoposte al racket del pizzo. Sequestrati anche beni del valore di circa 15 milioni di euro. L’operazione è in corso in Sicilia, Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche e Campania. Impegnati 500 uomini delle Fiamme Gialle, con l’appoggio di un mezzo aereo e di cani addestrati per la ricerca di armi, stupefacenti e valuta.

Lockdown e crisi economica – Con le attività ferme per il lockdown, una drammatica crisi economica e imprese sull’orlo della chiusura, i mafiosi erano pronti a entrare in azione. Il giudice per le indagini preliminari, Piergiorgio Morosini, che ha disposto gli arresti, parla di “contesto assai favorevole per il rilancio dei piani dell’associazione criminale sul territorio d’origine e non solo”. Il quadro dipinto, non frutto di prognosi secondo inquirenti e investigatori ma basato su dati di inchiesta, è allarmante. “Le misure di distanziamento sociale e il lockdown su tutto il territorio nazionale, imposti dai provvedimenti governativi per il contenimento dell’epidemia, hanno portato alla totale interruzione di moltissime attività produttive, destinate, tra qualche tempo, a scontare una modalità di ripresa del lavoro comunque stentata e faticosa, se non altro – scrive il giudice – per le molteplici precauzioni sanitarie da adottare nei luoghi di produzione. Da una parte, l’attuale condizione di estremo bisogno persino di cibo di tante persone senza una occupazione stabile, o con un lavoro nell’economia sommersa, può favorire forme di soccorso mafioso prodromiche al reclutamento di nuovi adepti”.

Usura, riciclaggio ed estorsioni – “Dall’altra, il blocco delle attività di tanti esercizi commerciali o di piccole e medie imprese – spiega – ha cagionato una crisi di liquidità difficilmente reversibile per numerose realtà produttive, in relazione alle quali un ‘interessato sostegno’ potrebbe manifestarsi nelle azioni tipiche dell’organizzazione criminale, vale a dire l’usura, il riciclaggio, l’intestazione fittizia di beni, suscettibili di evolversi in forme di estorsione o, comunque, di intera sottrazione di aziende ai danni del titolare originario”. “Con la crisi di liquidità di cui soffrono imprenditori e commercianti – conclude il giudice Morosini – i componenti dell’organizzazione mafiosa potrebbero intervenire dando fondo ai loro capitali illecitamente accumulati per praticare l’usura e per poi rilevare beni e aziende con manovre estorsive, in tal modo ulteriormente alterando la libera concorrenza tra operatori economici sul territorio e indebolendo i meccanismi di protezione dei lavoratori-dipendenti”.

Affari del clan trasferiti a Milano – Da tempo i fratelli Angelo, Giovanni e Gaetano Fontana, vivono a Milano dove hanno spostato il centro dei loro affari e riciclano denaro sporco proveniente da estorsioni, traffico di stupefacenti e controllo del gioco d’azzardo. Gli inquirenti parlano di una vera e propria delocalizzazione al nord che la “famiglia” ha realizzato grazie ad una rete di complici e ai patrimoni accumulati.

Acquisto di cavalli di razza per riciclare soldi sporchi – C’è anche la frode sportiva e il riciclaggio di denaro sporco realizzato attraverso l’acquisito di puledri di razza nell’inchiesta. Cosa nostra investe nel settore dell’ippica e avrebbe truccato gare corse in ippodromi di Torino, Villanova d’Albenga, Siracusa, Milano e Modena. In particolare dall’indagine, che ha portato anche al sequestro di 12 cavalli, è emerso che l’uomo della cosca nel mondo dell’ippica era Mimmo Zanca, già arrestato in passato, e incaricato di gestire la combine all’interno degli ippodromi, corrompendo e minacciando chi si opponeva. Tra gli investimenti c’è anche quello nel nel settore dei giochi e delle scommesse, frontiera della economia della criminalità organizzata. I magistrati parlano di vera e propria corsa all’accaparramento di “punti gioco” e sale scommesse diffusi sul territorio e che operano la raccolta delle scommesse sportive o del gioco d’azzardo on line. I boss delle famiglie Fontana e Ferrante fanno cartello e annientano la concorrenza. “Il tutto – dice il giudice – secondo relazioni di tornaconto reciproco, giacché Cosa Nostra può contare su ‘professionisti’ seri ed obbedienti e costoro su una rete di protezione che li mette al riparo dai comuni rischi di impresa”.

Il business degli orologi di lusso – I fratelli Fontana insieme alla madre e agli altri indagati avevano messo su una redditizia attività imprenditoriale a Milano di commercio di orologi di lusso, attraverso società italiane ed estere gestite tramite prestanomi: denaro a fiumi e riciclaggio dei soldi sporchi della cosca anche grazie alla complicità di un commercialista milanese. In una intercettazione uno degli indagati consiglia al boss Giovanni Fontana di acquistare in Inghilterra una società con soli 150 euro, garantendosi così la possibilità di accendere a un numero enorme di conti correnti. Nella conversazione si parla di bonifici di decine di migliaia di euro provenienti da Londra. Il pentito Vito Galatolo ha raccontato ai pm: “Mio cugino Angelo Fontana figlio di Stefano, suo fratello Gaetano e Giovanni sono la stessa cosa, nel senso hanno tutto in comune, lui a Milano gestisce tutto a livello; economicamente a livello sugli orologi, brillanti compra vende, manda suo fratello a Palermo, fanno affari con altri gioiellieri”. “Ricordo che molti orologi venivano smerciati all’estero – ha aggiunto Galatolo – in particolare in Germania, dove venivano riciclati con appositi punzoni”. E raccontando di un prestanome ha spiegato: “Gli hanno fatto aprire invece una gioielleria ma con i soldi dei Fontana, è uno smercio là… pure perché loro lavorano pure… portano orologi, cose rubate, li portano in giro… a Francoforte, in Germania”. Dichiarazioni involontariamente confermate dal boss Giovanni Fontana in una intercettazione: “Io lo sai perché gli vendo gli orologi a lui?… ogni settimana mi porta trentamila.. fissi! Perché lui lo sai che venerdì, viene martedì a portarmeli due volte! Quelli di prima e quelli dopo!”. “La giornata è questa… guadagni duemila euro al giorno, mille io, mille Gaetano, sto guadagnando ventimila euro al mese, solo la mia parte. Angelo di più!… Angelo viaggia… centomila euro al mese fa!”.

Gli appalti nei Cantieri Navali di Palermo – Attraverso ditte “amiche”, la mafia del clan Acquasanta gestiva appalti e commesse nei Cantieri Navali di Palermo. La cooperativa Spa.ve.sa.na, finita al centro dell’indagine, sarebbe stata l’avamposto della cosca all’interno dei cantieri. Intercettato, il boss Giovanni Ferrante definiva la società “cosa nostra”. Una serie di mafiosi, poi, risultavano assunti solo sulla carta dalla ditta da cui percepivano stipendi senza lavorare. Attraverso la gestione occulta della Spa.Ve.Sa.Na, i boss Michele e Giovanni Ferrante avrebbero avuto la possibilità di ottenere importanti commesse. L’inchiesta accenna anche alla vicenda della lettera aperta scritta 4 anni fa da alcuni operai che denunciarono la presenza della mafia nei cantieri. “Guarda cosa hanno combinato al cantiere… hanno fatto i volantini… per farmi arrestare… dicono che io comando al cantiere… al direttore gli hanno mandato il volantino”, diceva il boss Giovanni Ferrante non sapendo di essere intercettato. “Dobbiamo evitare di far fare indagini – aggiungeva – a me mi siddia (scoccia, ndr) pure sto fatto delle indagini al cantiere navale. Vedi che poi non sono tre anni. Poi sono botte di 10 anni! (di carcere, ndr)”. Dalle indagini è emerso infine che, oltre alla Spa.Ve.Sa.Na., società cooperativa gestita direttamente da Roberto Giuffrida, uomo a disposizione della cosca, anche la cooperativa Rinascita Picchettini era riconducibile ai Fontana, che al vertice avevano messo un loro uomo, Giuseppe Scrima. La coop ha ottenuto importanti commesse nel settore della cantieristica navale (come il restyling di quattro navi della importante linea MSC) mettendosi a disposizione della famiglia Fontana per l’esecuzione dei lavori con la sottoscrizione di contratti di sub-appalto, di fatto affidando le scelte operative e gestionali al presidente della cooperativa Spa.Ve.Sa.Na.

Il boss scarcerato disse: “Non ho pietà per nessuno” – Sono nomi noti da decenni agli inquirenti quelli finiti nell’inchiesta della Finanza di Palermo. Come i Fontana, “famiglia” storica di Cosa nostra palermitana descritta dal pentito Tommaso Buscetta come una delle più pericolose. Dalle indagini è emerso il ruolo di vertice di Gaetano Fontana, scarcerato per decorrenza dei termini nel 2013 dall’accusa di mafia, tornato in cella nel 2014 e nel 2017 uscito nuovamente dopo aver scontato la pena. Oggi sono stati arrestati anche i fratelli: Giovanni, un lungo elenco di precedenti per ricettazione, omicidio, porto abusivo di armi e resistenza a pubblico ufficiale, e Angelo, dal 2012 sottoposto all’obbligo di soggiorno a Milano. Per gli inquirenti Gaetano Fontana sarebbe il punto di riferimento indiscusso dei “picciotti” dell’Acquasanta, ruolo che avrebbe mantenuto anche mentre era detenuto. I Fontana gestivano le imprese che operano nella cantieristica navale, nella produzione e commercializzazione di caffè, e avrebbero il controllo di decine di supermercati, bar e macellerie e del mercato ortofrutticolo, delle scommesse online e delle slot machines. I fratelli Gaetano, Giovanni e Angelo Fontana vivevano da tempo a Milano, ma hanno mantenuto forti interessi nel capoluogo siciliano. Altro personaggio di rilievo dell’indagine è Giovanni Ferrante, braccio operativo del clan Fontana. Ferrante usava attività commerciali del quartiere per riciclare i soldi sporchi, ordinava estorsioni e imponeva l’acquisto di materie prime e generi di consumo scelti dall’organizzazione. Già condannato per mafia, dal 2016 è stato ammesso all’affidamento in prova ai servizi sociali. Uscito dal carcere, ha consolidato la propria posizione di leader all’interno della famiglia mafiosa e per la gestione degli affari illeciti usava come intermediatrice la compagna, Letizia Cinà. Molto temuto, modi violenti, in una intercettazione dopo essere stato scarcerato dice: “Oramai non ho più pietà per nessuno! Prima glieli davo con schiaffi, ora glieli do con cazzotti; a colpi di casco… cosa ho in mano… cosa mi viene”. Ferrante conversava tranquillamente con altri uomini d’onore dalla finestra della cella del carcere Ucciardone in cui era recluso. Dalle intercettazioni di altri mafiosi indagati viene fuori che questi parlavano abitualmente con Ferrante: “Io oggi sono andato a trovare mio compare”, dice un uomo d’onore riferendosi al capomafia. “Affacciò; con la mano, affacciò. Tutto a posto, glielo hai detto tutto a posto?”. Altro personaggio di spicco è Domenico Passarello, a cui era stata delegata la gestione dei giochi e delle scommesse a distanza, del traffico di stupefacenti, della gestione della cassa e della successiva consegna del denaro ai vertici della famiglia per versamento nella cassa comune.

Tra indagati ex concorrente del Grande Fratello – Tra gli indagati c’è un ex concorrente del Grande Fratello: Daniele Santoianni, 39 anni, ha partecipato alla decima edizione del reality e che ora è ai domiciliari con l’accusa di essere un prestanome del clan. Santoianni era stato nominato rappresentante legale della Mok Caffè S.r.l., ditta che commerciava in caffè, di fatto nella disponibilità della cosca. “Con ciò – scrive il gip – alimentando la cassa della famiglia dell’Acquasanta e agevolando l’attività dell’associazione mafiosa”.

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