Gli affari del clan dei casalesi in Toscana: 34 misure cautelari

di Redazione

34 misure cautelari nei confronti di altrettanti indagati ritenuti legati al clan dei casalesi sono state eseguite, stamani, dai finanzieri del comando provinciale dei Firenze e dello Scico (Servizio Centrale di Investigazione sulla Criminalità Organizzata) nell’ambito dell’operazione “Minerva” coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo toscano che ha interessato nelle province di Firenze, Lucca, Pistoia, Reggio Emilia, Modena, Ferrara, Bologna, Roma, Isernia e Caserta. – continua sotto –  

Il provvedimento, emesso dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze, Federico Zampaoli, ha visto l’esecuzione di 4 ordinanze di custodia cautelare in carcere, 6 ai domiciliari, 9 obblighi di dimora e 15 misure di interdizione personale con divieto di svolgimento di tutte le attività inerenti l’esercizio di imprese ed il sequestro preventivo agli indagati di beni e disponibilità, anche per equivalente, fino alla concorrenza di circa 8 milioni e 300mila euro. I plurimi reati contestati sono l’associazione per delinquere, il riciclaggio, l’autoriciclaggio e il reimpiego, l’intestazione fittizia di beni, l’emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con l’aggravante mafiosa per aver favorito l’associazione camorristica clan dei casalesi. Oltre alle responsabilità penali delle persone fisiche, vengono contestati illeciti per fatti dipendenti da reato a 23 persone giuridiche, ai sensi della normativa che disciplina la responsabilità degli enti. – continua sotto –

La complessa ed articolata attività di indagine, fondata anche sulla sistematica ricostruzione dei movimenti bancari e finanziari, nonché su minuziosi accertamenti economico-patrimoniali, è stata diretta dalla Direzione distrettuale antimafia e Antiterrorismo di Firenze – procuratore capo Giuseppe Creazzo e sostituto procuratore Giulio Monferini – che ha operato con il coordinamento della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e la collaborazione della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Le indagini hanno tratto origine dallo sviluppo di informazioni afferenti a numerosi investimenti immobiliari e commerciali effettuati nel 2016 nella provincia di Siena da due commercialisti campani, affiancati, tra gli altri, da un architetto fiorentino, originario del casertano, ritenuti contigui ad ambienti di criminalità organizzata che facevano riferimento al clan dei casalesi. – continua sotto –

Gli approfondimenti e le investigazioni hanno permesso di rilevare che soggetti collegati al clan, attraverso molteplici società operanti nei settori immobiliari e commerciali, avevano reimpiegato ingenti disponibilità finanziarie di provenienza delittuosa in attività imprenditoriali ubicate anche sul territorio toscano. Partendo dal flusso dei pagamenti relativi all’esecuzione dei lavori appaltati, le Fiamme gialle hanno disvelato un complesso sistema di false fatturazioni posto a copertura di cospicui e continui bonifici in uscita dalle aziende di costruzione e disposti a vantaggio di società “cartiere”. I conti correnti di queste venivano poi svuotati attraverso un’organizzata squadra di “bancomattisti prelevatori”, persone prossime alla soglia della povertà e alcune delle quali beneficiarie di reddito di cittadinanza (Reddito di cittadinanza, sostegno economico introdotto nel 2019) o di emergenza (Rem, misura introdotta a seguito dell’emergenza epidemiologica), remunerate dal sodalizio con commissioni pari al 2-3% delle somme monetizzate. – continua sotto –

Le ditte coinvolte nell’inchiesta si sono occupate della realizzazione di stabilimenti destinati a grandi catene di distribuzione nel settore dei supermercati, ma anche di ristrutturazioni di luoghi d’arte e musei. Nel dettaglio, è stato rilevato un sofisticato sistema fraudolento, fondato su diverse società, ritenute riconducibili agli indagati e formalmente gestite da prestanome, che hanno svolto diversi lavori edili sul territorio nazionale, operando perlopiù in subappalto. L’esecuzione dei lavori e la successiva fatturazione da parte dei committenti dava corso ad una prima serie di fatture per operazioni inesistenti a favore di società di comodo che attestavano falsamente la collaborazione nei lavori. L’ulteriore fase prevedeva altre fatturazioni per operazioni inesistenti a favore di altre “cartiere”, i cui amministratori, anch’essi meri prestanome, operavano il prelievo di contanti delle somme di denaro a titolo di pagamento di prestazioni in realtà mai rese. – continua sotto –

Dedotti i compensi ai prestanome, le somme prelevate finivano poi ai promotori dell’associazione a delinquere per essere successivamente riciclate attraverso investimenti immobiliari nelle province di Pistoia, Lucca, Modena, Roma, Isernia e Caserta. Nel corso dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, alcune delle attività imprenditoriali coinvolte nel sistema fraudolento hanno anche chiesto ed ottenuto contributi a fondo perduto previsti dal “Decreto Rilancio” e finanziamenti garanti dallo Stato ex “Decreto Liquidità”.

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