Aversa (Caserta) – Dieci anni ad Aversa. Dieci anni di intensa vita pastorale in un territorio difficile. Parte da qui la nostra intervista con il vescovo di Aversa Angelo Spinillo. – continua sotto –
Con quali sentimenti e aspettative entrò in diocesi dieci anni fa e come sono cambiati nel tempo sino ad oggi? «Credo di poter dire che dieci anni fa venni qui ad Aversa in sereno spirito di ubbidienza, con la consapevolezza di essere stato chiamato ad un sevizio alla Chiesa, e a questa particolare Chiesa che è la Diocesi di Aversa. Non portavo con me aspettative particolari, venni con il solo desiderio di vivere con questa comunità cristiana e di offrire quanto avrei potuto per la sua vita di fede, di speranza e di carità. Questo atteggiamento era determinato dal fatto che, come mi piace sempre dire, penso che quando si nasce, o si entra a vivere in una famiglia, non si sceglie la famiglia, né si scelgono i fratelli e le sorelle, semplicemente si è chiamati a vivere con loro. Credo che, allo stesso modo, quando si entra in una comunità ecclesiale non si va per imporre un proprio pensiero, o per cercare qualcosa che soddisfi una propria aspettativa, piuttosto per mettersi in ascolto e in dialogo, per camminare insieme. Ho trovato la guida ed il mio riferimento nelle illuminanti parole del Vangelo di Matteo: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). In questi dieci anni, il percorso ha vissuto momenti di grande ricchezza spirituale e, naturalmente, anche momenti di fatica. Non è cambiato il mio atteggiamento spirituale né i miei sentimenti nel desiderio di vivere la fede e la carità con tutta la comunità, ma si sono approfonditi e sviluppati proprio nella concretezza del dialogo che ho cercato di vivere con tutti, ed anche in qualche forma di tensione che pure è stata occasione di crescita». – continua sotto –
Cosa ha potuto apprezzare nella popolazione della Diocesi e cosa, invece, stigmatizza? «In tutte le sue componenti sociali, credo di poter dire che la nostra Diocesi è ricca di persone desiderose e capaci di vivere una feconda spiritualità e un’intensa disponibilità sia nella ricerca della verità e della fede, sia nella partecipazione ad attività caritative e di volontariato. Della nostra gente apprezzo molto la semplicità della fede, ma anche l’attenzione allo studio e al progredire nella cultura, e apprezzo anche la disponibilità all’impegno che dona concretamente il bene a chi è più bisognoso. Ancora apprezzo la capacità di iniziativa ed un discreto spirito associativo finalizzato al coltivare la partecipazione alla vita ecclesiale nella fede e nella carità. Ovviamente, non mancano alcune forti tentazioni: come il pensare di essere unici protagonisti e di imporre un proprio modo di vedere, di primeggiare sugli altri, la tentazione, insomma, di fare da soli. Questo, purtroppo, spesso non aiuta la reale vitalità delle qualità positive che ho elencato prima. Questo, io credo, sia causa di quell’atteggiamento superficiale che, come è attento a curare bene il proprio, il privato, non è ugualmente proiettato alla cura del pubblico, del bene comune». – continua sotto –
Dopo dieci anni di presenza si sente un cittadino aversano o una persona di passaggio? «Dieci anni sono una discreta fetta del nostro tempo personale. Sono un tempo utile ad incontrare e a stabilire relazioni significative, di quelle che si portano sempre con sé. Personalmente credo che il cristiano debba sentire “ogni terra straniera come sua patria e ogni sua patria come terra straniera”, come insegnava uno dei più antichi testi di catechesi della Chiesa, la “Lettera a Diogneto” già all’inizio del II secolo d.C. Questo vuol dire che amo Aversa, la terra in cui la provvidenza mi ha chiamato a vivere il Vangelo, e, ovviamente, che il Vangelo si può vivere dappertutto». – continua sotto –
Ha una sua ricetta per questa città, come vorrebbe lasciarla? «Premesso che, secondo le norme canoniche, dovrei stare qui per ancora sei anni, e non mi pare ancora il tempo di pensare a bilanci finali, credo che la nostra città possa crescere e maturare nella consapevolezza delle sue potenzialità. L’epidemia di Covid-19 ci ha molto condizionato e limitato nella partecipazione e nel dialogo sociale e religioso. Questo tempo di epidemia, però, ci ha anche chiamato ad usare nuovi strumenti, ad aprirci a nuove forme di comunicazione e anche di pensiero e di giudizio. Mi auguro che tutti insieme possiamo cercare il “nuovo” della vita del mondo, guardare con fiducia alle modalità nuove di partecipazione e di vita comunitaria che questo tempo ci sta indicando. Mi auguro che vengano presto migliori occasioni di incontro e più efficaci possibilità di dialogo per arricchire le nostre persone e la vita sociale di contenuti ricchi di umanità. Mi auguro che i nostri giovani siano liberati dalla tentazione di usare la cultura per conquistare posizioni utili all’affermazione di sé stessi, e che tutti insieme viviamo con autentica partecipazione alla vita, alla vita buona, illuminata dalla sapienza e dalla verità». – continua sotto –
La piaga della pedofilia nella Chiesa Cattolica ha colpito anche la Diocesi di Aversa. Qual è la sua valutazione dei casi locali, come quelli avvenuti a Casapesenna, Trentola Ducenta e così via? «Purtroppo, anche tra noi le piaghe del peccato, o anche solo dei limiti personali e della miseria dell’umanità, hanno coinvolto diverse persone. Non nascondo la fatica e la sofferenza della nostra comunità, ma nemmeno posso tacere dell’ipocrisia di tanti che non mi sono sembrati veramente attenti alla vita delle persone e alle possibilità di cura o di redenzione delle stesse, ma anzi, in qualche situazione, hanno cercato soprattutto il clamore mediatico delle stesse. La Chiesa, e anche la nostra Diocesi, è intervenuta sempre con la chiarezza della condanna ma anche con la rispettosa attenzione alle vittime e, dove possibile, cercando la redenzione di coloro che hanno commesso errori o peccati tanto gravi. Nello stile proprio della Chiesa, abbiamo chiesto, e chiediamo perdono a tutti e abbiamo offerto il sostegno necessario a recuperare il possibile nella vita delle persone che hanno subito violenza e prepotenza, ma, come ho detto, cerchiamo anche di indicare una via di recupero agli attori di queste drammatiche situazioni». – continua sotto –
Altra brutta storia quella legata a San Domenico e alla congrega che vi ha sede. Non crede che sarebbe stato necessario un maggiore decisionismo? «Purtroppo, come dicevo all’inizio di questa intervista, la ricchezza della vita di fede delle persone e del vivere in associazione, tanto presente nella nostra città, è spesso attaccata da tentazioni che portano alla divisione e, qualche volta, anche a forme conflittuali. Ordinariamente in questi casi, il giusto o l’ingiusto non stanno da una sola parte. Personalmente non credo che ciascuno dei protagonisti abbia tutte le ragioni o tutti i torti. Credo che si possa sempre recuperare un dialogo rispettoso delle persone e utile alla vita dell’associazione. Decisionismo? Il Commissariamento è un atto chiaro, previsto da Statuti e Regolamento, finalizzato ad indicare una via, ad invitare a riprendere il senso ed il valore dell’essere congregati». – continua sotto –
Chiudiamo con un messaggio di speranza. «Papa Benedetto XVI, nella sua Lettera enciclica sulla speranza, scrisse: “un presente, anche un presente faticoso può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta”. Siamo in un tempo faticoso. Abbiamo paura di perdere tante cose e forse rischiamo di lottare gli uni contro gli altri per afferrare qualcosa in più degli altri. Non ci lasciamo prendere dalla paura che nasce da un egoismo chiuso e prepotente. La vita ci chiama ad aprire l’anima ad una meta più grande e più vera che è il nostro essere persone veramente umane, il nostro essere figli di Dio. Incoraggiamoci tutti, a vicenda, come liberi compagni di strada ad andare sempre verso il giusto, verso il buono ed il bello, verso la vita. Per questo mettiamo la forza del cuore in dialogo con la mente, o se volete, la luce dell’intelligenza con il calore del cuore, e andremo avanti. La vita che ci chiama sempre ad essere protagonisti di ciò che è nuovo nel bene».