È morto Ciriaco De Mita: fu presidente del Consiglio e segretario della Dc

di Redazione

L’ex presidente del Consiglio e segretario della Dc, Ciriaco De Mita, è morto questa mattina alle 7 nella sua abitazione di Nusco, in provincia di Avellino, città di cui era sindaco. Lo ha reso noto il vice sindaco, Walter Vigilante.

De Mita era stato sottoposto a febbraio scorso a un intervento chirurgico per la frattura di un femore a seguito di una caduta in casa. Era entrato in politica quando ne aveva 35, e non ha mai avuto intenzione di mollare. Guidava la Dc negli anni ’80, negli ultimi anni ha fatto il sindaco di Nusco. Sette anni segretario della Dc, più di chiunque altro, De Gasperi compreso.

L’ambizione di togliere la balena bianca dalla palude delle tessere e delle correnti. La battaglia decennale con Bettino Craxi. I suoi uomini (Clemente Mastella al partito, Biagio Agnes alla Rai, Nicola Mancino in Parlamento, oggi lo avrebbero ribattezzato “il tresette magico”) che governava dentro e fuori Piazza del Gesù. De Mita portò al potere la sinistra democristiana e la sua ascesa si intreccia con quella di Bettino Craxi: alleati di governo, avversari in politica.

Origini modeste, nato il 2 febbraio 1928, il padre sarto in Irpinia, una laurea alla Cattolica di Milano, una grande ambizione. De Mita era un uomo del mezzogiorno: l’accento, le passeggiate in Transatlantico a braccetto dell’interlocutore, l’amore per i giochi con le carte napoletane, tutto ricorda che De Mita viene dal sud. Ora l’uomo di cui Gianni Agnelli aveva detto con una punta di superiorità “è il tipico intellettuale della Magna Grecia”, da qualche anno è tornato a Nusco e fa il sindaco, forse il sindaco più anziano in tutto lo stivale. L’incarico sarà anche modesto, ma la fibra e la vis polemica sono tali e quali a prima. Bastava sentirlo un anno fa come strapazzava Renzi nel faccia a faccia da Mentana sul referendum sulla Costituzione: stesse frasi che partono tortuose e che si concludono con affondi repentini, stessi gesti con le dita che pennellano l’aria, e l’evidente convinzione di saperla più lunga di chiunque altro.

Come se non fossero passati trent’anni da quando, ricambiato, faceva faceva vedere i sorci verdi a Craxi. Stiamo parlando dell’altro secolo, quando l’epoca del compromesso storico Dc-Pci era già finita da un pezzo. Per l’uomo di Nusco le regole d’ingaggio prevedevano i governi di pentapartito, la riedizione anni ’80 del centrosinistra. La sua Dc provava a tenere il passo con i tempi: meno clericale, più dinamica, in aperta competizione con i socialisti.

Famoso per i suoi complicati ragionamenti (“Se una cosa difficile ti sembra semplice, vuol dire che non hai capito niente”) De Mita governava il partito come un sovrano illuminato che avrebbe desiderato farla finita con correnti, clientele e tessere. Ma non riusciva mai a liberarsene. E mentre il malcostume delle tangenti cresceva anche a casa sua, De Mita duellava con Craxi, che di Tangentopoli sarebbe stato la vittima più illustre. Se le davano di santa ragione, Craxi a palazzo Chigi per quattro anni, dall’83 all’87, De Mita che scalpitava a Piazza del Gesù, e solo nel 1988 riusciva a entrare nel palazzo del governo. Il suo anno da presidente del consiglio non è entrato nella storia, almeno non quanto il quadriennio craxiano. Il suo programma prevedeva il controllo del disavanzo pubblico e le riforme istituzionali, ma rimase tutto sulla carta. Le correnti dc scalpitavano.?

Gli rimproveravano il “doppio incarico” di segretario e presidente del consiglio, reclamavano spazio. La sua cacciata dal governo e dal partito fu opera dei vecchi leader (Forlani, Andreotti, Gava, Donat Cattin) che a un certo punto smisero di litigare e si coalizzarono per riprendersi il partito. De Mita fu allora il capo dell’opposizione dentro la Dc, e in questa nuova veste tirò fuori le unghie. Nessuno sconto ai suoi nemici: fu lui a portare la sinistra democristiana a dire no al Caf, l’asse tra Craxi, Andreotti e Forlani. Fu lui che fece uscire i “suoi” ministri dal governo Andreotti quando stava per approvare la legge che salvava le tv di Berlusconi. “Prudens sicut serpens”, prudente come il serpente, è il motto stampato sullo stemma di Nusco. De Mita lo fece proprio: stette nascosto e colpì, al momento giusto. Anche se la volpe Andreotti si riprese dal morso e andò avanti ancora per qualche mese. Dei protagonisti di quella stagione democristiana solo tre sono ancora in attività: due “giovani” di allora, Sergio Mattarella e Romano Prodi. E un grande vecchio, che trent’anni fa li aveva lanciati in pista: il figlio del sarto di Nusco, Ciriaco De Mita, leader politico e scopritore di talenti.

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