I soldi dei Casalesi nelle banche dell’Est

di Redazione

Giorgio ChinagliaCASAL DI PRINCIPE. Una ricchezza costruita sulle bufale, sui rimborsi comunitari su frutta e ortaggi destinati ai centri Aima, sul cemento. C’era una volta l’impero economico del clan Bardellino, solida organizzazione rurale-edilizia che guardava al mattone e alla terra quali strumenti di arricchimento e di potere.

C’era una volta la camorra di vent’anni fa, ricchissima e potentissima, con utili manutengoli distribuiti nei posti chiave: le banche, i consigli comunali, gli uffici tecnici. Quella struttura non esiste più. Meglio, è cresciuta e si è trasformata seguendo le regole del mercato. Oggi i soldi accumulati con le estorsioni (e con le provvidenze pubbliche) finiscono nei mercati immobiliari delle regioni ricche, come hanno dimostrato le inchieste della Dda sulle attività della famiglia Zagaria, e sui mercati finanziari dei Paesi del nuovo capitalismo avanzato: l’Est europeo. Tracce di esportazioni di valuta all’estero, in Ucraina, erano state già trovate durante un’indagine su una truffa all’Iva: era otto anni fa, e già i canali del riciclaggio si erano spostati in aree «addomesticabili», dove scarsi o nulli sono i controlli, inaccessibili alle verifiche dell’autorità giudiziaria italiana. Di reimpiego di capitali sporchi in Romania, in Polonia o nella Repubblica Ceca si era parlato anche al tempo dell’arresto di Francesco Schiavone jr: soldi reinvestiti in allevamenti e società di brokeraggio informatico, canali virtuali attraverso i quali il denaro viaggia in maniera invisibile. L’inchiesta che ha portato al coinvolgimento di Giorgio Chinaglia in una operazione di laundering ha dimostrato, però, che non di sospetti si sta parlando. I 21 milioni di dollari (a quel tempo il cambio dollaro-euro era quasi alla pari) che dovevano servire ad acquistare la Lazio, per tramite di Giorgio Chinaglia, sarebbero parte della considerevole provvista che il clan dei Casalesi, o almeno parte di esso, è riuscito a creare su mercati sicuri mentre ancora si rincorrevano, qui in Italia, gli immobili e le società decotte. Un sospetto fondato sul ruolo di Giuseppe Diana (indagato con Chinaglia e con i due promoter finanziari romani Guido Di Cosimo e Carlo Benedetti) e su quello di Ecoquattro, società di servizio del consorzio di smaltimento dei rifiuti Ce4. Diana, imprenditore di Casal di Principe, 49 anni, compare sulla piazza economica della provincia di Caserta alla fine degli anni Ottanta, quando rileva un piccolo deposito di carburante a Grazzanise. Risalgono a quel periodo, e fino alla metà degli anni Novanta, le frequentazioni con Antonio Cantiello, che di Grazzanise era il capozona. La «Diana gas» rileva, a poco a poco, altre aziende simili, a Camigliano per esempio. E a Mondragone, dove subentra nella proprietà della «Domiziana gas». Ma non è tutto. Giuseppe Diana è cognato di Michele Orsi, fino al 2005 amministratore della Ecoquattro. Parte dei guadagni della società di smaltimento dei rifiuti sarebbero andati, a titolo di contributo per l’interessamento, al clan La Torre, dominus del litorale domiziano. Un’altra parte al clan dei Casalesi, alla fazione bidognettiana del clan dei Casalesi. A titolo di tangente, hanno raccontato ai magistrati i fratelli Michele e Sergio Orsi all’indomani del loro arresto, senza però essere creduti fino in fondo. Michele Orsi è stato ucciso due mesi fa, alla vigilia dell’udienza preliminare nella quale compariva nella veste di imputato-testimone. Nei lunghi interrogatori (l’ultimo risale al gennaio di quest’anno, qualche giorno prima di un furto sospetto nella sua azienda, alla quale sono seguiti altri episodi di intimidazione che hanno fatto da preludio al suo omicidio) ha certamente parlato del cognato e del ruolo della «Diana gas»: società che, per gli investigatori, ha fatto da collettore del denaro incassato dal clan e che è stato poi trasferito nelle sicure banche dell’Est europeo, affidato alla gestione fiduciaria del finanziere ungherese Zoltan Szilvas. L’uomo, cioè, che doveva acquistare prima il Lanciano calcio, poi la Lazio.

Il Mattino (ROSARIA CAPACCHIONE)

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