Alla moglie di Sandokan contestato il reato di associazione mafiosa

di Redazione

Giuseppina NappaCASAL DI PRINCIPE. Lo scorso 30 settembre era stata arrestata nell’ambito della maxi retata contro il clan dei Casalesi, che portò all’esecuzione di 102 ordinanze di custodia cautelare, di cui 98 furono confermate un mese dopo dal Riesame.

Tra gli arrestati che in quel periodo erano in libertà anche Giuseppina Nappa, moglie del boss Francesco Schiavone, alias “Sandokan”, ritenuta parte integrante del clan assieme al marito detenuto e ai nipoti Nicola Panaro, latitante, Sebastiano Panaro, Vincenzo Schiavone, alias “Petillo”, e a Mario Caterino, latitante, condannato all’ergastolo con la recente sentenza Spartacus.

La signora Schiavone, detenuta nel carcere femminile di Lecce con l’accusa di ricettazione aggravata, ora è stata raggiunta da una nuova ordinanza di custodia cautelare, per il reato di associazione per delinquere di stampo camorristico, frutto delle indagini compiute dalla Squadra Mobile di Caserta diretta dal vicequestore Rodolfo Ruperti. A carico della donna gli inquirenti hanno riscontrato ulteriori indizi che hanno consentito al Gip distrettuale di Napoli, su richiesta della Procura del capoluogo campano, di emettere nei suoi confronti il nuovo provvedimento.

Ricordiamo che, dopo la confermadelle ordinanze di custodia in carcere da parte del Tribunale del Riesame, restavano in carcere: Salvatore Ammutinato, Pasquale Apicella, Andrea Autiero (detto ‘O Scusuto), Luigi Autiero (43 anni, di Gricignano, fratello di Andrea), Andrea Stabile Aversano, Luigi Stabile Aversano, Romeo Stabile Aversano, Antonio Basco, Luigi Basile, Augusto Bianco, Cesare Bianco, Franco Bianco, Luigi Bianco, Francesco Bidognetti (capo dell’omonima fazione, conosciuto come Cicciotto ‘e mezzanotte), Gaetano Buompane, Domenico Buonamano, Alfonso Cacciapuoti, Vincenzo Cantiello, Salvatore Cantiello, Vincenzo Carobene, Giuseppe Caterino, Mario Caterino, Nicola Caterino, Francesco Antonio Celeste, Pasquale Ciocia, Francesco Compagnone, Vincenzo Conte, Daniele Corvino, Rodolfo Corvino, Romolo Corvino, Cipriano D’Alessandro, Michele De Santis, Luigi De Vito, Antonio Del Vecchio, Carlo Del Vecchio, Cristofaro dell’Aversano, Giovanni Della Corte, Antonio Della Valle, Luigi Della Volpe, Antonio Di Gaetano, Giovanni Di Gaetano, Giovanni Di Martino, Vincenzo Di Martino, Giancarlo Di Sarno, Giuseppe Diana, Luciano Esposito, Amedeo Fabozzo, Domenico Feliciello, Sebastiano Ferraro, Davide Grasso, Giuseppe Guerra, Luigi Iorio (di Benito), Raffaele Iovine, Giovanni Izzo, Bruno Lanza, Pasquale Leccia, Raffaele Letizia, Orlando Lucariello, Giorgio Marano, Enrico Martinelli, Francesco Mauriello, Mario Mauro, Antonio Menale, Antonio Mezzero, Luigi Monaco, Carmine Noviello, Sebastiano Panaro, Giuseppe Papa, Nicola Pezzella, Gianluca Piazza, Arcangelo Piucci, Oreste Reccia, Stefano Reccia, Angelo Russo, Giuseppe Russo, Bruno Salzillo, Mario Santoro, Ferdinando Schiavo, Antonio Schiavone, Francesco Schiavone (detto “Sandokan”), Mario Schiavone, Vincenzo Schiavone (detto “Petillo”), Pasquale Spierto, Marco Tavoletta, Gioacchino Tucci, Luigi Venosa, Antonio Verde, Salvatore Verde, Massimo Vitolo, Nicola Zara, Tommaso Zara.

Il Riesame confermava anche le accuse a carico dei latitanti Antonio Iovine (detto ‘O Ninno), Nicola Panaro, Massimo Russo, Vincenzo Schiavone.

Veniva invece rinviatala decisione relativa a Giuseppina Nappa, moglie del boss Francesco “Sandokan” Schiavone, accusata di partecipare attivamente alla gestione del clan assieme al marito detenuto e ai nipoti Nicola Panaro (latitante), Sebastiano Panaro, Vincenzo Schiavone (“Petillo”) e al boss Mario Caterino, latitante e condannato all’ergastolo con la recente sentenza del processo Spartacus.

La misura restrittivavenivadichiarata inefficace, per vizi formali, nei confronti di Giuseppe Papa, 60 anni, di Villa di Briano, comunque detenuto per altra condanna. Mentre il ricorso venivaaccolto per l’avvocato Mario Natale, Egidio Coppola, Antonio Corvino, Raffaele Ligato, Giuseppe Misso, Giuseppe Mallardo, Vincenzo Zagaria.

Il pronunciamento del Tribunale del Riesame, sostanzialmente, confermava la gravità degli indizi acquisiti attraverso una complessa indagine condotta dalla Squadra Mobile di Caserta che ha consentito di delineare gli attuali assetti e l’organigramma del “clan dei casalesi”. Per gli indagati le accuse di associazione mafiosa e ricettazione aggravata dall’articolo 7 della Legge 203/91. Ad alcuni degli affiliati venivano, inoltre, contestati i reati di omicidio, estorsione, rapina e armi.

Dalle indagini svolte, si accertava la presenza di una “cassa comune” utilizzata anche per il pagamento degli stipendi ai vari affiliati che nella totalità ammontano, solo per gli odierni indagati, a circa 300.000 euro mensili; la cassa era alimentata dai proventi delle attività illecite effettuate nell’intera provincia di Caserta ed in particolar modo dal ricavato delle estorsioni commesse dai vari referenti zonali e che corrispondono, per quelli accertati, a milioni di euro. Tra le attività numerosissime estorsive poste in essere dagli affiliati al clan, di particolare rilievo quella effettuata ai danni dei fratelli Orsi, impegnati fino all’anno 2004 nella raccolta dei rifiuti solidi urbani nell’area Ce4 (Castel Volturno, Mondragone, Grazzanise, Santa Maria la Fossa), costretti a versare la somma di 125 mila euro; quella ai danni della Ferrovia Alifana, che versava alle casse del clan rate oscillanti tra i 25mila ed i 50mila euro, e quella ai danni di “Impre.co”, consorzio di imprese tessili sul territorio di Carinaro e Gricignano, a versare la somma di 15 mila euro mensili.

Le indagini prendevano spunto dal ritrovamento durante una perquisizione eseguita dalla Polizia presso l’abitazione di Vincenzo Schiavone, alias “Copertone”, di diverse liste riportanti, divisi per zona, i nominativi degli affiliati e i rispettivi capi zona nonché lo “stipendio” percepito da ciascuno di essi. Nel corso della stessa perquisizione veniva inoltre rinvenuto un computer il cui hard disk veniva sottoposto ad accurate analisi scientifiche che hanno consentito di recuperare dalla memoria parte di file cancellati riportanti anch’essi organigrammi e resoconti delle attività del clan. Il fondamentale materiale documentale rinvenuto, tra cui i “pizzini” che “Copertone” inviava ciclicamente al boss latitante Nicola Panaro per aggiornarlo sulla gestione della cassa del clan, trovava riscontro nel paziente lavoro investigativo della Squadra Mobile, supportato anche da attività tecniche di intercettazione, ed era poi confermato anche dalle convergenti dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia.

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