Mentre si attende la richiesta di rinvio a giudizio sul duplice omicidio di moglie e figlia, avvenuto lo scorso anno a Castelfranco Emilia (Modena), per Salvatore Montefusco, 69 anni, pensionato, ex imprenditore edile, originario di San Cipriano d’Aversa (Caserta), è stato deciso il processo per l’accusa di maltrattamenti nei confronti delle stesse due vittime. A riportarlo è il quotidiano emiliano “Il Resto del Carlino”. – continua sotto –
Il delitto si consumò lunedì 13 giugno del 2022, intorno alle 12, in una villa situata nella frazione Cavazzona, in via Cassola di Sotto, dove Montefusco viveva con la moglie Gabriella Trandafir, 47 anni, e la figlia di lei, Renata, di 22.
Il pensionato casertano, trapiantato da tempo in Emilia Romagna, con alle spalle un matrimonio con una donna, da cui erano nati tre figli, con i quali viveva a Riolo, nel Ravennate, aveva conosciuto da una ventina d’anni Gabriella, già madre di una figlia, Renata, avuta da una precedente unione, e aveva instaurato una nuova relazione da cui era nato un figlio. Ma anche con lei il rapporto era andato in crisi. Gabriella, infatti, voleva lasciarlo, l’udienza di separazione si sarebbe dovuta tenere il giorno successivo al delitto. Ma lui non voleva abbandonare l’abitazione, la cui nuda proprietà era dei figli della moglie. Così quel lunedì mattina Montefusco imbracciò un fucile e sparò prima a Renata, poi alla moglie, uccidendole, risparmiando solo il figlio di 17 anni, a cui chiese di allontanarsi. Poco dopo fu arrestato dai carabinieri in un bar della zona.
Dalle indagini, come riporta il “Resto del Carlino”, è emerso che Gabriella aveva denunciato per maltrattamenti almeno tre volte il marito, la prima già un anno prima, nel luglio 2021, poi nell’agosto e nel dicembre successivi. Proprio per quei maltrattamenti, per i quali la Procura sembra avesse presentato istanza di archiviazione, Montefusco è stato rinviato a giudizio. E’ ipotizzabile che i due procedimenti possano anche essere uniti in un unico processo. – continua sotto –
Montefusco, come riporta “Repubblica”, era già noto alle forze dell’ordine per alcuni reati fiscali e bancarotta ma soprattutto perché negli anni ’90 si ribellò al pizzo chiesto dal clan dei casalesi, contribuendo all’arresto di 16 affiliati all’organizzazione camorristica.